RADICALI ROMA

Fuori dal nido

Leggendo alcuni giornali e guardando certa televisione sarebbe da credere che viviamo in un paese flagellato da una guerra fredda in miniatura. Due grandi blocchi politici contrapposti, contrassegnati da colori diversi, rappresentanti di due grandi culture politiche in conflitto permanente.
Conflitto permanente che si basa più sui giudizi che hanno reciprocamente assegnato i vari cantori delle “due metà” alle fazioni da questi immaginate, che non su precise e profonde differenze sostanziali. Chi si sente parte di una metà, quella sinistra, vede l’altra popolata da individui un po’ egoisti, attaccati al denaro, sprezzanti della cosa pubblica e della cultura, seguaci dell’ideologia televisiva e incorreggibilmente incivili. Quasi ogni giorno Michele Serra su Repubblica dipinge quadri schernenti e ferocemente sprezzanti, esplicitamente snob, di questi soggetti.
Coloro che si sentono parte dell’altra metà, quella destra, vedono gli altri come salottieri, buonisti, ipocriti, presuntuosi ma pur sempre perdenti e minoritari.
Io sarei tentato di credere, invece, e man mano che esco dal nido si rafforza la convinzione, che le reali metà, i due piani in conflitto, se davvero ne esistono due, sono di gran lunga più caratterizzati dal reddito, dalla condizione lavorativa, dal grado di vicinanza al potere pubblico, dal numero, dalla disparità di diritti e dall’accesso al sistema dei privilegi che non dal grado di urbanità dei singoli individui o dalla casella barrata nell’urna elettorale.
Questo ha certo a che vedere, riguardo al nostro piano di discussione, con la trasformazione della forma partito come è avvenuta grossomodo nel passaggio dalla prima alla seconda Repubblica: è sparita nel nulla la pratica della militanza totale, della devozione e dell’abnegazione alla causa, della subordinazione al processo democratico interno, residui dell’impostazione stalinista del PCI più antico. Residuali e insignificanti sono gli echi della tradizione del dopolavoro, della vita di sezione, delle feste di partito. Tutta questa esperienza, che legava le persone anche oltre le diverse condizioni sociali (con i dovuti distinguo), profondamente caratterizzante della vita dell’individuo, pare si sia esaurita nel Grande Centro televisivo in cui confluiscono e muoiono, sopravvivendo di sola immagine, tutte le maggiori tendenze del momento, politiche, comunicative, sessuali, estetiche, musicali ecc.
E in questa centrifuga mediatica (anche extratelevisiva), i due grandi partiti, impersonati da figuranti travestiti da politici, recitano il ruolo dello Yin e dello Yang.
In generale, non è l’odioso sistema di privilegi che li accomuna, come è stato smascherato dal best seller di Rizzo e Stella, a preoccuparmi. Quello che mi colpisce e mi ripugna è la considerazione che le due parti, reciprocamente influenzate, hanno della verità. O meglio: della ricerca della verità. E conseguentemente del linguaggio, della discussione, della parola. La ricerca della verità è sempre subordinata a un assioma indiscutibile, in qualche caso posto come tale a causa di qualche interesse specifico e in altri dalla somma ignoranza che circonda il problema da affrontare. Il dizionario delle verità pronte dei politici vale la pena di esser letto.

Le parole del Santo Padre
Le piccole e medie imprese
Rispetto della Costituzione
Cultura della morte/cultura della vita
La Posizione di Confindustria
In questo momento di emergenza
Male assoluto
Radici cristiane dell’Europa (vanno riaffermate le)
Danni causati dalla droga
Società civile

Oltre a queste, non molte altre. Le onnipresenti verità surgelate dei politici hanno orizzonti di senso sempre più limitati e sono per questo ormai del tutto inefficaci per spiegare ed affrontare la realtà.
Eppure se ne scorgono gli indirizzi e i concetti ispiratori: l’interesse nel trovarsi d’accordo con la Chiesa, nel non sconfinare dal campo, sebbene sempre più esteso (col forte contributo della Lega nord), del politicamente corretto, nel non inimicarsi i poteri forti dell’industria e della finanza, nel polarizzare il più possibile le differenti posizioni sui cosiddetti “temi etici”, immaginandole in uno scontro titanico e in realtà falso tra il Bene e il Male, la Morte e la Vita. Lo scopo, perseguito con coscienza ma alla giornata, senza bussola, è quello di preservare la posizione di privilegio dalle nubi scure che si addensano nel cielo e che impediscono di scorgere il futuro meno vicino. E solo dopo, ma sempre più come mestiere d’ufficio, si esprime l’impegno dei politici per la collettività.
Se questa non è la realtà, quantomeno è quella che filtra attraverso la televisione e anche attraverso Radio Radicale quando trasmette le sedute del Parlamento. E poi di riflesso in quasi tutti i luoghi pubblici e in generale laddove è distribuito il potere, reale o fittizio. Nei luoghi secretati all’opinione pubblica, invece, s’infiamma una lotta drammatica e drammaticamente reale che denuncia la totale disparità di diritti tra gli individui e la totale assenza della legalità (finanche quella costituzionale). Nelle carceri, nei centri di identificazione degli immigrati, nei luoghi del lavoro precario, nei quartieri delle periferie cittadine, nelle terre tormentate dalla mafia. Ovunque il Grande Centro, o per disinteresse o per specifico interesse, cessi di agire con la sua subdola potenza.
Come membri delle generazioni più giovani siamo spesso chiamati in causa nell’assunzione di responsabilità. Noi, quelli nati a ridosso o subito dopo il crollo del muro di Berlino e la fine della prima Repubblica, siamo stati definiti i figli del crollo delle ideologie, i primi nati dei tempi post ideologici. Io dico che si sono espressi male: intendevano dire i figli del crollo dei partiti, i primi nati dei tempi post partitici. Ciò che caratterizzava l’identità politica dell’individuo del passato, cui essi fanno riferimento, era di certo la militanza in un partito (o in qualche caso la non militanza in alcun partito) piuttosto che l’ideologia. Di sicuro l’ideologia del Pci degli anni ’50 non era la stessa degli anni’80. Analoga, invece, rimaneva l’importanza delle stimmate dell’appartenenza, dell’identità profonda e del mutuo riconoscimento di somiglianza.
Come me, tanti altri miei coetanei sanno rilevare gli aspetti un po’ mostruosi, di poca libertà e assai scarsamente proponibili oggi che presentavano i grandi partiti di massa della Prima Repubblica. Eppure i ragazzi con più senso storico che io conosca, come un riflesso incondizionato, scelgono quasi tutti di rifugiarsi in un partito, schiacciati dal debito immane contratto col passato. Schiacciati dalla condizione che ci sentiamo dipinta addosso: quella, appunto, di figli del crollo dei partiti.
Una condizione che impedisce a molti di vedere oltre l’orizzonte dei partiti stessi e della partitocrazia, oltre le verità preconfezionate dal Grande Centro, oltre quelle nascoste dai vetri scuri dell’indifferenza, oltre le quinte del macabro spettacolo dell’ indifferenza e dell’egoismo.
Perché non riuscivo a vedere oltre, perché per troppo tempo ho creduto di far parte di una fazione in realtà solo apparente, ho scelto di militare nel Partito Radicale. Ma da quel momento stesso ho deciso di militare anche fuori dal partito, aldilà delle sue linee guida e delle sue dinamiche interne, semplicemente come un individuo in relazione con gli altri.

David Gallerano