RADICALI ROMA

Gli Altri – Bernardini: digiuniamo contro il carcere Ma Renzi tace su indulto e amnistia

Il mio sciopero della fame lo sto portando avanti da 24 giorni, contando i giorni che ci separano dal 28 maggio prossimo. Sono insieme ad altri “mille” che, a loro volta, si sono organizzati in digiuni a staffetta fino a quella data, o dando vita a manifestazioni davanti alle carceri o tampinando con lettere e mail i rappresentanti istituzionali di governo e Parlamento responsabili del mancato adempimento di quanto previsto dalla sentenza Torreggiani dell’8 gennaio 2013. Sentenza “pilota” diretta a censurare le violazioni strutturali da parte dell’Italia dell’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani che ha come titolo “Proibizione della tortura” e che recita “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”. L’obiettivo della sentenza pilota è quello di determinare i conseguenti adeguamenti dell’ordinamento interno atti a far cessare le violazioni denunciate nelle migliaia di ricorsi presentati dai detenuti alla Corte di Strasburgo.

Questa azione nonviolenta di dialogo (Satyagraha), l’abbiamo iniziata alla mezzanotte del 27 febbraio quando mancavano 90 giorni al 28 maggio. Oggi ne mancano 66, di giorni. Cosa è accaduto in questi 24 giorni, è bene ricordarlo.

A cinque mesi dal messaggio del Presidente della Repubblica, dopo due rinvii, la Camera dei deputati decide di discuterne il 4 marzo scorso, di fatto, respingendolo al mittente. Nel suo unico messaggio al Parlamento dei suoi due mandati, Giorgio Napolitano aveva fatto pesare tutta la sua autorevolezza di massimo magistrato dello Stato e supremo garante della Costituzione. Era stato chiarissimo: infatti, dopo aver indicato una serie precisa di riforme in tema di decarcerizzazione e depenalizzazione, ammoniva i parlamentari del fatto che “tutti i citati interventi – certamente condivisibili e di cui ritengo auspicabile la rapida definizione – appaiono parziali, in quanto inciderebbero verosimilmente pro futuro e non consentirebbero di raggiungere nei tempi dovuti il traguardo tassativamente prescritto dalla Corte europea. Ritengo perciò necessario intervenire nell’immediato con il ricorso a rimedi straordinari”.

E’ dunque il presidente Napolitano a indicare amnistia e indulto non solo per interrompere – senza perdere un solo giorno – i trattamenti inumani e degradanti nelle nostre carceri, ma anche per accelerare i tempi della giustizia perché anche sulla giustizia “ritardata” (che è giustizia negata) abbiamo un fardello ultra trentennale di condanne europee per violazione dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti Umani riguardante l’”irragionevole durata dei processi”.

Il ruolo del neo-presidente del consiglio Matteo Renzi è stato determinante per umiliare il messaggio presidenziale. Il preludio di quello che sarebbe stato il suo atteggiamento nei confronti della débâcle della giustizia italiana e della sua appendice carceraria s’era già manifestato nella scorsa estate quando si rifiutò di firmare i referendum radicali con la solita solfa da vecchio Pci che ha sempre avuto in odio le consultazioni referendarie: le riforme le deve fare il Parlamento, aveva detto. Successivamente, il 9 dicembre, aveva conferito l’incarico di “responsabile giustizia” della sua segreteria all’onorevole Alessia Morani che, immediatamente, si era precipitata a manifestare la sua contrarietà ad amnistia e indulto, come del resto aveva fatto pochi mesi prima lo stesso Matteo Renzi rimangiandosi il suo sostegno di qualche anno prima a Marco Pannella impegnato in uno dei suoi rischiosissimi scioperi della fame e della sete. «Sono pronto – scriveva Renzi nel 2005 rispondendo ad una lettera del radicale Massimo Lensi – nel mio piccolo, a fare la mia parte perché la sete di giustizia che anima il leader radicale trovi una fonte soddisfacente. Aderisco, allora, alla battaglia di Pannella per l’amnistia, impegno morale, civile sociale della comunità italiana».

Da notare che allora, nel 2005, non c’erano state ancora né la sentenza pilota della Corte di Strasburgo, né il solenne messaggio presidenziale. Ora che Renzi non è più “nel suo piccolo” – come scriveva allora – ma nel “suo grande” ruolo di presidente del consiglio. ottenuto cacciando via Letta, pretendendo l’esclusione di Emma Bonino dal governo e occupando i media attentissimi alla sua “convulsa attività psicomotoria” (così la ha definita Rino Formica), può ben fare marcia indietro, tutto immerso nella sua campagna elettorale europea condotta a suon di promesse mirabolanti per il governo del Paese.

Se non fossi convinta di vivere in uno Stato che ormai sta divorando gli ultimi brandelli di democrazia, ci sarebbe da rimanere basiti di fronte al fatto che nessuno chieda a Matteo Renzi come pensi di innestare le sue “riforme” economiche su un’infrastruttura distrutta e illegale come è quella della giustizia in Italia. D’altra parte – occorre ammetterlo – si comporta esattamente come i suoi predecessori istituzionali che pur di non affrontare il tema non si sono fatti scrupolo di divorare la Costituzione, e di calpestare la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e la Dichiarazione universale dei Diritti Umani.

Il ministro della giustizia Andrea Orlando è stato a Strasburgo i giorni scorsi per presentare alla Corte dei diritti dell’Uomo e alle autorità europee il progetto del Governo sulle illegali carceri italiane. Se non ha raccontato balle la Corte non potrà che dirgli quel che pochi giorni fa ha dichiarato il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa: “misure insufficienti”; magari non si farà scrupolo – me lo auguro – di rinfacciare all’Italia le due mancate recenti estradizioni verso il nostro Paese da parte della giustizia britannica che si è rifiutata di far rischiare a due condannati le condizioni disumane e degradanti delle nostre carceri.

Nel nostro piccolo, con il nostro Satyagraha, ci ostiniamo a non voler girare la testa dall’altra parte, per non essere troppo simili (lo siamo un po’ tutti) a chi taceva senza reagire mentre viveva la quotidianità nel pieno delle atrocità naziste e comuniste. Ci ostiniamo a credere nel dialogo nonviolento nei confronti dei rappresentanti istituzionali che rischiano di riportarci, per insipienza e sottovalutazione, nel pieno delle tragedie del secolo scorso.