RADICALI ROMA

Gli appalti portano nella Capitale. E lo stato maggiore del Pd trema

L’immobiliarista al centro dell’inchiesta campana ha vinto diverse gare con le giunte di sinistra. Poi Alemanno gli ha revocato l’incarico

     Stanno saltando i tombini. Se vi fosse capitato di girare per i corridoi di Montecitorio, ieri, vi sareste resi conto che un pen­siero dominante serpeggiava fra i deputati e i parla­mentari del Partito democratico, un in­terrogativo a tratti angoscioso: «E se adesso arrivano anche a Roma?». Il fat­to è che, anche sforzandosi di non con­siderare la deposizione spontanea di Francesco Rutelli, il turbine delle in­chieste che stanno tormentando il Pd è già a Roma. E ci è arrivato simbolica­mente, nel modo più imprevisto, sot­to l’onda di una piena, insieme all’ac­qua del Tevere che tracima con i tom­bini che saltano. Perché la domanda che tutti si fanno è questa: ma se a Na­poli l’imprenditore dalle camicie rosa fragola, Alfredo Romeo, è davvero il terminale di una rete corruttiva che oliava politici e amministratori per ot­tenere appalti, come è possibile che a Roma fosse un imprenditore modello in grado di vincere gare a raffica solo per la forza competitiva delle sue of­ferte al ribasso? Possibile che all’om­bra del Vesuvio si facesse cucire le de­libere su misura come vestiti e che a quella del Colosseo esponesse presta­zioni virtuose?

     Sì, a Roma l’inchiesta è già arrivata insieme a questo dubbio, perché so­no in molti, a partire dai militanti del Pd, a chiedersi come mai Romeo aves­se vinto fior di bandi senza colpo feri­re sia con la giunta di Rutelli («Il capo», nelle infelici intercettazioni di Renzo Lusetti) che con quella di Veltroni. E prima ancora che gli addebiti giudizia­ri dimostrino o confutino le ango­scianti ipotesi accusatorie che grava­no sul centrosinistra campano, la lun­ga onda di piena è arrivata a Roma, perché sono fisicamente saltati pro­prio quei tombini dei quali Romeo do­veva garantire il funzionamento insie­me alle strade, cosa che evidentemen­te non è stato in grado di fare.

     Ma a parte l’innegabile constatazio­ne che bene ha fatto il sindaco Aleman­no a revocare immediatamente una commessa che certo non era onorata, il fiume degli scarichi è entrato lo stes­so nei palazzi – se non altro metaforicamente – insieme al liquame delle ac­que debordanti del Tevere. Ci è entra­to perché ci sono già mille rivoli che saltano agli occhi se si spulciano le car­te dei magistrati. Dettagli, in alcuni ca­si, che non sono e non saranno mai penalmente rilevanti per la prima li­nea, ma che politicamente sono quan­tomeno imbarazzanti. Come i gazebo delle convention con Romano Prodi che gli amministratori del Pd metteva­no in conto alle casse comunali, per esempio. Oppure come le intercetta­zioni ambientali che sono state effet­tuate a ridosso delle cene elettorali convocate per le primarie di questo o di quel candidato ulivista. Il fiume è già arrivato a Roma perché Ottaviano Del Turco è passato senza nemmeno il tempo di un sospiro da quello di «fondatore» e grande saggio del Pd a quello di reietto: è arrivato perché la rete di relazioni (prima ancora che di reati) che si intravede dietro l’inchie­sta dei magistrati partenopei è una re­te che si irradia da Napoli ma che ha i suoi punti di tessitura finale nella Ca­pitale. È pensabile che nessuno a Ro­ma conoscesse questo imprenditore? Possibile che nessuno a Roma si pre­occupi di una classe politica abituata a scegliersi molto disinvoltamente i propri collaboratori? Ci sarà pure, co­me ricorda Veltroni, il miglior codice etico d’Europa, fra le carte fondanti del Pd: il problema è che non viene applicato. Ed è per questo che il tombi­no salta.

    Quello che è emerso dai tombini straripanti della Capitale è un fiume di inconsapevolezze che oggi pesano co­me colpe. Diranno i magistrati se si tratta anche di reati. Ma i tempi della politica, come sa bene Mastella, sono questi. Si può morire politicamente molto prima che arrivino le sentenze. O anche se non arriveranno mai. Si può morire, semplicemente, anche so­lo perché improvvisamente, un gior­no piovoso, salta un tombino.