«Il Pd nasce prigioniero dell’ala confessionale della Margherita e non riuscirà a prendere nessuna decisione sui diritti civili com’è avvenuto in tutti i paesi europei, anche quelli governati dalla destra». Dice di essere in una «fase di riflessione», Franco Grillini, ma poi ammette che è ormai con le valigie già fatte e pronto a traslocare a sinistra con Gavino Angius e Fabio Mussi.
Mentre Fausto Bertinotti invoca una «grande operazione» di rinnovamento della sinistra e avverte che non ci sarà una «rendita di posizione» per chi si defila del Pd, prosegue l’esodo dall’Ulivo dei parlamentari ds dissidenti di Fabio Mussi e Gavino Angius: stanno per nascere i due gruppi di Camera e Senato, che potranno contare su una trentina di parlamentari tra deputati e senatori. Ed è probabile che la lista si allunghi, in vista dell’assemblea del 5 maggio a Roma, quando decollerà il nuovo movimento politico.
Presidente onorario dell’Arcigay, Grillini è schierato in Parlamento da 17 anni a difesa dei diritti degli omosessuali prima col Pds e poi con i Ds: ora anche lui è a un passo dallo strappo e la vicenda dei Dico, finiti in un nulla di fatto, ha pesato non poco sulla sua decisione di uscire. «Al congresso di Firenze ho chiesto a Piero Fassino una prova di laicità, che non c’è stata», è lo sfogo di Grillini, che proprio non riesce a vedersi nello stesso partito di teodem come Laura Bi-netti e Luigi Bobba.
Onorevole Grillini, non è che per caso stavolta è lei ad avere qualche pregiudizio? In fondo, in Parlamento i numeri non aiutano il governo al di là delle belle intenzioni.
«Guardi che io non ero fra quelli pregiudizialmente contrari a un partito democratico all’americana: ho sostenuto, infatti, la mozione di Angius e siamo andati la congresso senza strappi anticipati. Il problema però è che il futuro Pd non sarà in grado di decidere sui diritti civili nulla di quello che è normale per i democratici americani».
Ribadisco: i numeri in Parlamento sono quelli che sono.
«Potrei rispondere che quando sei al governo la politica la fai con gli atti di governo. Quanto ai numeri in Parlamento, le racconto una cosa: il governo non è stato capace di rendere operativa la direttiva europea sul permesso di soggiorno ai conviventi extracomunitari e non c’era bisogno di passare in Parlamento. Lo sa perché? C’è stato un veto di Rutelli».
Davvero i teodem hanno tutto questo peso e lo avranno anche nel Pd?
«Il Pd nasce prigioniero dell’ala confessionale della Margherita, quello che io chiamo il partito del cilicio. Mi chiedo che cosa hanno a che fare queste persone con un partito che si dice progressista: in tutti gli altri paesi, fanno parte della destra».
Cosa si aspettava? Il governo deve fare i conti con questa situazione come dimostra la vicenda dei Dico: non mi dica che si aspettava il via libera dei teodem al disegno di legge del governo?
«La verità è che da parte loro c’è il veto totale su qualunque cosa abbia a che
fare con i diritti civili. Pensi che in commissione Affari sociali si sono opposti anche all’audizione in Parlamento dei rappresentati delle famiglie di fatti. Parliamo di un’audizione».
Insomma, non c’è posto per lei nel Pd?
«Per me l’aria è diventata irrespirabile».
Eppure il Pd vuole essere la continuazione dell’Ulivo del quale lei ha fatto parte a pieno titolo.
«L’idea giusta era quella di fare un Ulivo allargato. Invece, si punta a un Ulivo bonsai creato dagli apparati di partito che, si è visto, sono pronti a ogni compromesso al ribasso sui temi che interessano la società civile. E non mi riferisco solo ai diritti dei gay».
E’ inevitabile la separazione dopo 17 anni di convivenza con il Pds di Occhetto e poi con i Ds?
«Per l’intera legislatura, il Pd sarà condizionato dall’integralismo religioso della Margherita. 160 parlamentari DI che hanno firmato a favore dei Dico in realtà contano come il due di picche. Non passerà nulla che abbia a che fare con i diritti civile. Che senso ha restare in un partito così? Mi sembra più interessante il grande cantiere che si apre sinistra, come quello socialista di Boselli».