I signori Liang e Mei Xing guidano la delegazione che ha chiesto un incontro al sindaco, presentando un documento di quattro pagine che fotografa una situazione critica fatta di razzismo, diffidenza della gente, difficoltà di integrazione, pregiudizi, vessazioni, perquisizioni persecutorie. Pochi di contro i diritti e dunque, per far fronte al disagio, la comunità cinese chiede la nascita di una figura che abbia l’incarico istituzionale di curare gli interessi degli abitanti dell’Esquilino presso l’amministrazione comunale.
A Veltroni si chiede in primis sicurezza e una maggiore disponibilità nei confronti della comunità cinese. L’ascolto viene proposto come rimedio a una crisi che è nell’aria, tra gli scenari possibili di evoluzione di una convivenza non facile, anche se la parola non è mai scritta esplicitamente nel documento presentato. Secondo i cinesi agire di concerto, usando come perno la figura di un ‘mediatore’, può rendere più vivibile l’integrazione della comunità nella città, con vantaggi per l’economia e l’ordine pubblico. “Abbiamo bisogno di un ponte”, sollecitano infatti i delegati.
Una vera e propria “pressione investigativa” sarebbe in atto a spese degli esercenti della terra del Fiume Giallo, che potrebbe acuirsi dopo i fatti di Milano. In particolare i commercianti orientali vogliono porre l’attenzione delle istituzioni sull’ondata di controlli che a partire dal 22 marzo ha portato a termine oltre 50 perquisizioni su 14 esercizi commerciali, come sottolinea la portavoce Lucia Huei King, perfettamente bilingue dopo una lunga esperienza di business nel nostro Paese.
Gli abitanti della Chinatown capitolina non si sentono trattati come gli altri cittadini: “Da noi si aprono cancelli e porte senza la presenza dei proprietari – spiega la delegazione che ha chiesto udienza in Campidoglio – e durante le perquisizioni, a parte lo spavento per familiari e bambini, non ci sono certezze per noi, solo mancanze…”
Il disagio è palese. “Siamo una popolazione di lavoratori – tengono a precisare i commercianti associati – e tra noi ci sono anche dei piccoli delinquenti, ma da qui ad affermare che siamo un’organizzazione mafiosa… questo è francamente troppo”.
La situazione è complessa: da una parte sono numerose le inchieste giudiziarie aperte per indagare su certi ambienti cinesi, dall’altra è molto elevato il numero di rapine ed estorsioni di cui sono vittime i cinesi di piazza Vittorio. Il bilancio è amaro: “Non abbiamo fatto denuncia – spiegano i commercianti – per il semplice fatto che abbiamo sfiducia nelle vostre autorità. Infatti quelle presentate in passato si sono risolte in un nulla di fatto. E così veniamo colpiti, magari all’uscita serale dai negozi, negli androni di questi palazzi dell’Esquilino dove spesso veniamo presi a bastonate e rapinati”.