RADICALI ROMA

I consultori compiono 30 anni "Dalla rivoluzione al declino"

Nati col femminismo e la diffusione della pillola, sono sempre
di meno e con pochi fondi. L’impegno di medici e ostetriche. di MARIA NOVELLA DE LUCA

ROMA – “I consultori compiono trent’anni ma noi andiamo ancora in giro di paese in paese con il lettino nel portabagagli a visitare le donne. In ogni comune allestiamo un ambulatorio ginecologico ovunque ci offrano ospitalità, nelle parrocchie, nelle case, nelle scuole, una volta addirittura in un museo. Il nostro consultorio copre un territorio di 17 comuni, località disagiate, difficili da raggiungere, dove la sfida è quella di vincere pregiudizi e paure. Ma il risultato di questi dieci anni di lavoro itinerante è la scomparsa dell’aborto clandestino, la diffusione delle tecniche di contraccezione e una diminuzione delle interruzioni volontarie di gravidanza che va oltre il 20%”. Anna Vitelli fa l’ostetrica nel consultorio di Trebisacce, in provincia di Cosenza, è una donna tenace, appassionata, ha lavorato a lungo alla clinica Mangiagalli di Milano prima di tornare in Calabria.

Il suo racconto descrive un’Italia che sembrava scomparsa e invece sopravvive, a trent’anni esatti dall’approvazione della legge 405 del 29 luglio 1975 che ha istituito i “consultori familiari”, quei centri polivalenti di cura e d’ascolto dedicati alle donne, alla loro sessualità, alla “procreazione responsabile”, alla “storica” diffusione della pillola, che proprio alla fine di quell’anno, nonostante i violenti attacchi del Vaticano, iniziava ad essere commercializzata nelle farmacie, mentre la legge del ’75 dava ai consultori la facoltà di distribuirla gratis.

È un compleanno in chiaroscuro quello dei 2.582 consultori familiari italiani, oggi come ieri bersaglio di critiche ogni volta che si parla di revisione della legge 194, oggetto di continui tagli di fondi da parte delle Regioni, eppure unici presidi sul territorio dove in équipe lavorano ginecologi e pediatri, infermieri e psicologi, assistenti sociali ed ostetriche, e dove in questi trent’anni le donne hanno imparato piano piano a non aver paura dei metodi contraccettivi “sintetici”, la pillola appunto, che nel 1978 veniva utilizzata dal 3,2% per cento delle donne, e oggi dal 22,3%, una percentuale comunque tra le più basse d’Europa. “Se si ha voglia di lavorare e non si molla – dice Anna Vitello – i risultati si ottengono, noi in questi anni siamo andati di casa in casa spesso appoggiandoci alla tabaccaia, alla barista, ai medici di base, sapendo che ben difficilmente le donne sarebbero venute fino a Trebisacce per parlarci dei loro problemi o per accettare lo screening del tumore al collo dell’utero, ma poi, quando si è instaurato un rapporto di fiducia il consultorio, cioè noi, siamo diventate fondamentali”. Pochi mezzi, passione e tenacia. Così sopravvivono oggi in Italia i consultori familiari pubblici, “contenitori sperimentali” nati negli anni più fertili del movimento femminista, tra la riforma del diritto di famiglia, il referendum sul divorzio, la legge sull’aborto, la rivoluzione della pillola, “zone franche” dove finalmente si poteva parlare di sesso e sessualità in un collettivo fatto di ginecologhe, psicologhe e pazienti insieme. Michele Grandolfo, responsabile del laboratorio di Epidemiologia e Biostatistica dell’Istituto superiore di Sanità per la salute della donna, definisce consultori familiari una “frontiera tra le istituzione e la società civile”.

“La loro applicazione però è stata del tutto disomogenea, dai buoni risultati di Toscana o Emilia Romagna, al dramma del Sud, dove ad eccezione di esperienze quasi eroiche come quella di Trebisacce in Calabria, il numero dei consultori già carente fin dall’inizio continua ad assottigliarsi”. “Eppure – dice Grandolfo – l’offerta di questi centri è stata innovativa davvero. Nel tempo però i consultori si sono burocratizzati, le competenze sono state spezzettate e medicalizzate e quel grande progetto è rimasto a metà”. Accanto ai consultori laici, pubblici e privati, tra questi i più famosi sono l’Aied di Roma (cui si deve il fortissimo impegno nella diffusione della pillola) e il Cemp di Milano, è sempre più attiva la rete dei consultori cattolici legati al Movimento per la vita, il cui obiettivo primario è, appunto, la lotta alla legge 194.

Negli ultimi anni alcuni governatori di Regione, a cominciare da Storace nel Lazio e Formigoni in Lombardia, hanno cercato di modificare le regole dei consultori soprattutto per quanto riguarda la legge sull’aborto, chiedendo liste e nomi di chi chiedeva l’intervento. “I consultori – aggiunge Grandolfo – sono sempre stati accusati di non fare abbastanza per prevenire l’aborto. La verità invece è che soltanto il 25% delle certificazioni avviene nei consultori e dove questi sono presenti il numero delle Ivg continua a scendere. Perché qui si è sempre parlato di procreazione responsabile, di tutti i metodi contraccettivi. Se i consultori funzionano i risultati si vedono: ad esempio le donne che seguono i corsi di accompagnamento al parto poi scelgono in maggioranza l’allattamento al seno secondo le direttive dell’Oms. Ma doveva essere uno ogni 20.000 abitanti, mentre il loro numero è drammaticamente inferiore”. Maria Edoarda Trilò dirige un popoloso consultorio di periferia nella Asl Roma C. “La verità è che di noi non si parla mai, se non per invocare un giro di vite sulla 194, ignorando che questo è soltanto uno degli aspetti del nostro lavoro e che invece qui psicologi e assistenti sociali offrono un tipo di sostegno che non è previsto da nessun altro servizio pubblico, non solo perché non si paga il ticket, ma perché c’è la possibilità di parlare, di avere una relazione. Noi ormai però siamo costretti a sopravvivere in strutture fatiscenti, poco visibili e appena in ospedale c’è bisogno di un pediatra, di un’ostetrica, si sposta il personale del consultorio… Ma forse quello che è più grave – ammette con amarezza la Trilò – è che trent’anni dopo si è spenta la motivazione ideale: sono le donne stesse ad accettare passivamente lo smantellamento del consultorio. Ogni tanto offriamo le stanze per incontri, dibattiti, per fare informazione, le donne però non vengono più, hanno smesso di chiedere diritti e assistenza, anche se la vita, e noi al consultorio ne siamo testimone dirette, diventa ogni giorno più dura”.