RADICALI ROMA

I posti al tavolo della concertazione

  Si siedono attorno a un lungo tavolo nellaSala verde di Palazzo Chigi. Posti pre assegnati, come alle cene di gala. Da un lato le parti sociali, dall’altro il governo. Al centro Cgil, Cisl, Uil e Confindustria, di fronte al presidente del Consiglio e al ministro dell’Economia. Tutte le altre sigle ai lati e alle spalle degli ospiti più importanti. Qualcuno in piedi. Prima parla il governo. Poi, in sequenza, Confindustria, Cgil, Cisl e Uil, ognuno secondo copione. I quattro grandi convitati scendono poi in sala stampa per rilasciare dichiarazioni giusto in tempo per entrare in diretta nelle cene degli italiani. Intanto, in sala verde la riunione continua mestamente con le altre sigle. Al tavolo sono rimaste le briciole.

 

 

 

 Questa, signori, è la tanto celebrata concertazione: un teatrino. Tutti attorno a un tavolo, ma non tutti uguali, non per discutere, ma per dichiarare. Ma chi ha deciso i posti a tavola? Chi rappresentano gli invitati d’onore; perchè alcuni si possono alzare prima? E i posti d’onore si mantengono per sempre?

 

 

 

Si è spesso discusso se la concertazione sia giusta o no. E’ una discussione oziosa. Il vero quesito da porsi è: chi deve essere ammesso a sedersi al tavolo? E per fare cosa?

 

 

 

 Nella corsa all’euro la concertazione funzionò perché anche gli invitati di secondo livello sentivano, come i quattro “grandi”, la necessità di raggiungere il risultato. Ma quando si tratta di varare riforme strutturali e tagli veri alla spesa pubblica il discorso cambia. In questo caso, la disposizione dei posti a tavola determina l’esito della trattativa. Invece di invitare occasionalmente gli stakeholder a un tavolo dove possono solo esercitare un diritto di veto, occorre creare una sede permanente di confronto. Qui la Spagna, di cui invidiamo l’alta crescita e la bassa conflittualità sociale, può darci spunti utili. Si guardi al Consein Economico y Social. Ha il compito di esprimere al parlamento pareri meticolosi e tempestivi su ogni proposta di legge o decreto del governo sui temi economici sociali. Di analogo in Italia c’e il Cnel, Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, ma è diventato, un posto per riciclare i “trombati” della politica. Previsto dalla Costituzione proprio come “organo di consulenza delle camere e del governo” per “contribuire alla elaborazione della legislazione eco nomica e sociale secondo i principi stabiliti dalla legge”, il Cnel è un parlamentino di 120 persone che non vengono elette dalle categorie, ma scelte dal governo e dal Presidente della Repubblica, senza alcuna garanzia di rappresentanza. Vi si organizzano tanti convegni, spesso superflui. Un ente inutile insomma, da abolire in assenza di una riforma strutturale. Bisogna allora dotarlo di una segreteria tecnica di qualità, con tecnici reclutati con criteri di merito. Poi si può strutturare il parlamentino in cinque gruppi di interesse: 1) i lavoratori dipendenti, 2) i lavoratori autonomi e le professioni, 3) i datori di lavoro, 4) gli studenti (futuri lavoratori), 5) gli esperti di nomina governativa. I rappresentanti di ogni gruppo sono soggetti abilitati alla concertazione coni poteri pubblici e devono essere selezionati sulla base di procedure trasparenti, ricorrendo a elezioni fra le diverse categorie. Ad esempio, in Spagna, i seggi dei lavoratori dipendenti sono attribuiti in base al numero di consensi ottenuti dai diversi sindacati in votazioni tra i lavoratori. E c’è anche una soglia minima: possono accedere al Ces solo rappresentanti di associazioni che superino il 10% dei consensi a livello nazionale o il 20% a livello regionale. Queste elezioni potrebbero anche essere un’occasione per affrontare il problema irrisolto della rappresentanza sindacale nella contrattazione collettiva.

 

 

 

 Il parlamentino dovrebbe poi istituire commissioni ad hoc per esprimere un parere su disegni di legge e decreti governativi, prima che completino il loro iter parlamentare. Ogni commissione dovrebbe essere composta da cinque membri, uno in rappresentanza di ciascuno gruppo. Il nuovo Cnel dovrebbe essere una sede in cui, lontani dai riflettori, si possano analizzare i problemi a fondo. Come si è dimostrato con la Finanziaria, le riforme strutturali sulla spesa non riescono in poche settimane. Richiedono tempo, confronto e metodo.