RADICALI ROMA

I quattro paletti.

  Non sappiamo quale delle tante versioni della Finanziaria che girano in questi giorni su Internet si avvicina di più al documento che verrà alla fine approvato oggi dal Consiglio dei ministri e che  da lunedì comincerà un iter parlamentare pieno di insidie. Probabilmente non lo sanno neanche il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia, dato che gli aggiustamenti e gli assalti alla diligenza continuano fino all’ultimo minuto, come narrano gli uscieri di Palazzo Chigi. E’ anche possibile che venga in queste ore rimessa in discussione la composizione stessa della manovra. Purtroppo continua la tradizione, ormai consolidata da anni, di fissare nel Documento di Programmazione Economica e Finanziaria solo i saldi, senza stabilire quanto dovrà provenire da inasprimenti fiscali e quanto da risparmi nelle spese delle amministrazioni pubbliche. E anche i saldi sono stati questa volta rimessi in discussione fin dall’inizio di settembre. E’ stata una trattativa condotta tutta senza paletti. Il rischio che generi mostri, come il fondo per l’erogazione del Tfr presso l’Inps che spinge lo Stato ad ostacolare in tutti i modi il decollo della previdenza integrativa, è perciò molto forte.   

 

 

 

Bene allora ricordare quali sono i paletti che ci impone il mercato e augurarci che la politica nelle prossime ore ne tenga conto. Quattro paletti sono particolarmente importanti.   

 

 

 

Primo, la dimensione del nostro debito, in assoluto e non solo in rapporto al Pil, ci rende molto vulnerabili al rischio di turbolenze sui mercati finanziari internazionali. Siamo nelle loro mani, nel senso che i nostri titoli di Stato sono detenuti per più di metà da investitori esteri, molti dei quali istituzionali, che sono costretti per norme prudenziali a ridurre la loro esposizione in Italia, nel caso di un downgrading del nostro debito al di sotto della A. Chi oggi propone di limitarsi a stabilizzare il debito ama probabilmente giocare alla roulette russa.   

 

 

 

Secondo, riduzioni del deficit attraverso incrementi delle tasse sono molto meno rassicuranti per i mercati che manovre rette su contenimenti della crescita della spesa. Questo perché è la spesa la variabile che oggi i governi in Italia non sembrano più in grado di controllare (è cresciuta del 2 per cento all’anno, al netto dell’inflazione, nell’ultimo decennio) e c’è un limite alla capacità di un’economia che ha già vaste aree di evasione fiscale di incrementare le entrate in rapporto a quanto il paese riesce a produrre. Gli investitori internazionali, sulla base di un’ampia casistica internazionale, sanno che solo i tagli alla spesa improduttiva possono permettere di coniugare risanamento e crescita, innescando un processo virtuoso di riduzione del debito. Sanno anche che una manovra tutta incentrata sulle tasse finisce per bloccare la crescita e generare instabilità politica. Sorprende che i politici che fanno a gara in questi giorni nel proporre incrementi di tasse e contributi non si ricordino che hanno rischiato di perdere le elezioni proprio per essere stati presentati dall’avversario come il partito delle tasse.

 

 

 

 Terzo, abbiamo una cattiva reputazione di maestri nella finanza creativa che abbiamo fatto di tutto per meritarci nella passata legislatura. Per questo non possiamo permetterci tagli fatti solo sulla carta, magari con una matita rossa, ma del tutto irrealistici. E’ bene che il Ragioniere dello Stato ne tenga conto prima di apporre il suo bollino. Meglio riduzioni dì spesa più contenute, ma sostenibili e crescenti nel tempo, che spostamenti di  fatto di poste da un bilancio di un anno a quello dell’anno successivo. Non serve costringere le amministrazioni centrali dello stato a ritardare il pagamento delle bollette dell’ elettricità o a ritardare consumi di beni intermedi indispensabili per il proprio funzionamento. Serve invece imporre che il decentramento di funzioni si accompagni a un decentramento del personale dello stato evitando le duplicazioni fra diversi livelli di governo, rafforzando gli ammortizzatori  sociali nel pubblico impiego.

 

 

 

  Quarto, perché i tagli siano davvero credibili, devono essere anche politicamente sosteni bili. Bene perciò che mirino a raggiungere una qualità della spesa pubblica che sia comprensibile e accettabile per i cittadini. Molti provvedimenti che, singolarmente, riducono di poco la spesa pubblica hanno una rilevanza simbolica molto importante nel rendere accettabili provvedimenti che hanno effetti molto più rilevanti. Oggi il Tesoro è rappresentato da propri dirigenti in 1623 Consigli di amministrazione. Perché non imporre che i gettoni di presenza conferiti a questi funzionari vengano in parte riversati nelle casse dello Stato? Non stanno, questi dirigenti pubblici, svolgendo le loro funzioni mentre partecipano a un consiglio di amministrazione di una società partecipata? E perché la previdenza pubblica, che a differenza di quella privata serve anche a ridurre le disuguaglianze, continua ad elargire 784 quiescenze di più di 15.000 euro al mese? Sono solo due esempi. Ma i simboli contano. Eccome.