RADICALI ROMA

I radicali premono contro la «tattica del rinvio» sulla moratoria

L’arma non violenta è sempre quella: sciopero della fame, so­lo che ora si moltiplica perché a Pannella (che lo fa dal 21 marzo) si aggiungono Sergio D’Elia, Valter Vecellio e Guido Biancardi e la pres­sione radicale aumenta perché sa­rà «ad oltranza», fino a che non verrà presentata – all’assemblea ge­nerale dell’Onu in corso e non alla prossima – la risoluzione per la mo­ratoria universale delle esecuzioni capitali. È quasi paradossale, ma quello che si sta consumando con il governo – che pure condivide in pieno la battaglia contro la pena di morte – sembra un vero e proprio braccio di ferro.

 

 

 

È nella natura radicale prende­re il toro per le corna e non mollar­lo fino allo stremo. Ma a questa non c’è un’inerzia a contrapporsi: Romano Prodi ha sondato il terre­no lunedì con il premier giappone­se Shinzo Abe mentre già venerdì scorso aveva preso il telefono per parlarne con il cancellie­re tedesco, Angela Merkel. Ha chiesto, e otte­nuto, il massimo impe­gno per raggiungere lu­nedì prossimo, nella ri­unione dei ministri degli esteri a Bruxelles, un consenso europeo a sostegno dell’iniziativa ita­liana per la moratoria universale. Ci tiene, il governo, a che questa «non sia so­lo una bandiera italiana ma euro­pea» dice il premier, ed è questo a dividerlo dai radicali «Questa Eu­ropa viene presa imprudentemen­te come alibi e scusa per le incapa­cità e le inadeguatezze dei singoli go­verni delIUe» ha detto ieri Marco Pannella in una conferenza stampa. Poco prima era stato Sergio D’Elia a ripercorrere tutti «gli errori» com­messi in quindici anni: nel’94 la vittoria fu “sfi­lata” da sotto il naso per otto voti ma quattro di questi erano di paesi europei; nel 1999 all’ultimo minuto la proposta di risoluzione, sempre su iniziativa italiana, non venne presentata perché arrivò il no del consiglio dei ministri degli esteri Ue divisi al loro interno; e poi nel 2003 ci fu «lo scandalo del governo Berlusconi», ricorda D’Elia, che nonostante gli impegni presi da­vanti al parlamento decise di non portare la proposta di moratoria all’Onu. Insomma, meglio puntare anche sui paesi degli altri conti­nenti più che sull’unanimità dei 27. I numeri forniti da “Nessuno tocchi Caino” sulle possibilità che la riso­luzione passi all’Onu non sembra­no ammettere repliche (anche l’ex ambasciatore Fulci la pensa così): «I voti a favore sono tra i 99 e i 106, le astensioni tra le 17 e le 24; i contrari tra i 61 e i 68; gli incera 7». Per D’Elia quindi «è una battaglia vin­ta in partenza e se non la si vince è perché non la si vuole combattere». Perché mai il governo italiano dovrebbe lasciarsi sfuggire una ta­le occasione? Forse i conti sono diversi. Quel che è certo è che il mi­nistro degli esteri D’Alema, ancora ieri da Algeri, non spostava di un millimetro la posizione: l’impegno è raccogliere le adesioni alla Di­chiarazione contro la pena di mor­te – non alla risoluzione per la mo­ratoria che è cosa ben diversa, accusano i radicali – e che sono arri­vate a 89, «una quota elevata anche se ancora non raggiunge la mag­gioranza assoluta dei paesi membri dell’Orni» ha detto D’Alema, ag­giungendo che «nello stesso tempo abbiamo posto in sede europea l’ur­genza della presentazione della ri­soluzione», la prossima settimana si dovrà verificare se ci sono «le condizioni» per avere un consenso europeo. Si farà in tempo per pre­sentare ora, all’Onu, la risoluzione {trasformando la “dichiarazione”)? Altrimenti si dovrà «attendere la prossima sessione a settembre» co­me ha ipotizzato D’Alema dando corpo proprio a quella «tattica del rinvio» in odio ai radicali.