RADICALI ROMA

“Il concerto” di Radu Mihaileanu: non c’è musica senza giustizia

Un piccolo caso cinematografico: un film, senza attori di richiamo, diretto da un regista noto soltanto ai cinefili – e per un film di qualche anno fa, “Train de vie” – ; uscito nei cinema italiani all’inizio di febbraio, continua a essere in programmazione; certamente grazie al “passaparola” tra gli spettatori.
E il riconoscimento che ha recentemente ottenuto ai David di Donatello come miglior film dell’Unione Europea, corona, e forse rilancerà, questo successo.
“Il concerto” ha un antefatto storico, che risale all’Unione Sovietica degli anni Ottanta. Per decisione dell’allora presidente Breznev, furono licenziati dall’orchestra del Bolscioj, il grande teatro di Mosca consacrato alla musica, i musicisti ebrei.
Nel film si immagina allora che un celebre direttore d’orchestra russo, si sia rifiutato di obbedire a questo diktat razzista. E che, per punizione, la sua orchestra, composta anche di musicisti ebrei, sia stata interrotta, durante una serata di gala al Bolscioj, nel bel mezzo di un concerto di Caikovski, per intevento diretto sul palcoscenico di un potente funzionario del KGB. Alcuni di quei musicisti avrebbero denunciato l’accaduto a una radio libera, e per questo sarebbero stati confinati in Siberia, dove sarebbero morti di stenti. Il direttore d’orchestra avrebbe perso il posto, e da allora sarebbe stato degradato a uomo delle pulizie del teatro.
Un antefatto, insomma, altamente drammatico, addirittura tragico.
Ma la distanza del tempo trascorso – quasi trent’anni – consente all’autore di guardare ai protagonisti di questa vicenda, almeno a quelli sopravvissuti, più che con il pathos della tragedia, con lo spirito della farsa o della satira.
Ecco allora che il potente funzionario del KGB è oggi un nostalgico patetico del vecchio partito comunista; che per organizzare manifestazioni comuniste in piazza, è costretto ad assoldare qualche comparsa. I musicisti di un tempo si arrangiano a vivere fantasiosamente, e tutto sommato allegramente. Soltanto l’ex direttore d’orchestra , appresso al carrello delle pulizie, continua a vagheggiare in modo struggente il concerto di Caikovskij interrotto.
Ma lo spirito positivo della farsa vuole che giunga per lui il momento del riscatto.
E infatti, con un inganno che non sto a raccontarvi, potrà riunire la sua vecchia orchestra, ed eseguire lo stesso concerto in un grande teatro di Parigi.
Il film di Mihaileanu è piacevole, raccontato con brio.
Mi ha lasciato però due riserve. La prima è che nella piccola folla dei musicisti russi che calano a Parigi – con la gioia di vivere che si associa convenzionalmente agli slavi, ma anche con una frenesia di affamati catapultati in un ricco banchetto – ecco, in questa folla, nessun ritrattino, nessuna caricatura, è davvero incisiva, ha un forte rilievo.
La seconda è che la satira si addice ai potenti. Quando è rivolta a chi ha ormai perso il potere ed è stato smentito dalla Storia – come appunto l’ex funzionario del KGB – la satira resta forse legittima, ma è più povera di mordente. Insomma: sembra piovere sul bagnato.
Ma “Il concerto” ha un colpo d’ala nel finale. La vecchia orchestra del Bolscioj, ormai sgangherata, senza aver potuto fare nemmeno un giorno di prove, alle prese con strumenti musicali raccattati di contrabbando, ottiene al teatro di Parigi un trionfale successo, fa riscoprire al mondo l’attualità di Cajkovskij e parte in tournée per tutta Europa.
Forse il regista ha voluto dirci che i miracoli possono davvero accadere? Che i sogni, quando sono a lungo e appassionatamente sognati, finiscono per realizzarsi sempre e comunque?
No, non credo che sia caduto in questa retorica. Il lieto fine del film è apertamente paradossale, costruito apposta perché lo spettatore non possa crederci. E finisce per significare, con amara ironia, che non è per nulla garantita una giustizia che, almeno alla lunga, premi i giusti e punisca i colpevoli. E anzi le discriminazioni – come quella contro i musicisti ebrei nell’Unione Sovietica di Breznev – vengono dimenticate. A meno che, magari, non venga fatto un film per rievocarle.

Versione audio:
http://www.radioradicale.it/scheda/304225