La vicenda di Welby, così come ogni vicenda umana e dolorosa, chiama in causa la politica nel suo complesso, e la sua saggezza nell’affrontare, così come ci richiede lo spirito di questo tempo, quei terreni complessi e nuovi che l’avanzamento della tecnica ci pone davanti con forza. Credo però che su questo terreno valga la pena di fare un po’ di chiarezza. L’eutanasia è un tema molto difficile, ma certamente non è un tema nuovo. La storia della nostra letteratura ci ha mostrato da sempre casi di estrema sofferenza e dolore di donne e uomini, rispetto ai quali la pietà ha preso il sopravvento sulla fede. È stato così da sempre, nell’etica cristiana, così come in quella più laica. La pietà come ultima sfera del sacro, di quel luogo da cui tutto viene e tutto torna, che sfugge alla nostra umana comprensione e alla nostra tendenza occidentale a voler dare di ogni cosa una spiegazione con cui illuminare il mistero.
Oggi certamente i tempi sono cambiati: e questo è dovuto all’avanzare delle scienze, che ci pongono di fronte nuovi interrogativi, ovvero l’andare oltre la pietà per sancire un momento in cui la vita diviene realmente tale oppure smette di esserlo. Non solo, è cambiata anche la percezione della vita stessa, sempre più associata all’idea di essere sani, forti, e magari anche belli e giovani: una percezione che deve necessariamente fare i conti con la malattia e con il dolore, non più arginandolo ma rendendolo parte del percorso della vita.
Uno scenario che ci impone, oggi, riflessioni nuove. Welby ci fa paura, perché a farci paura non è solo l’inconoscibile mistero della morte. A farci paura è la capacità di poter mettere fine e inizio alla vita, in un terreno in cui l’arbitrio cozza contro la speranza, non solo cristiana, contro la certezza che il respiro sia di per sé un atto divino, a prescindere dalle condizioni fisiche e materiali. Allora, io credo che siano proprio questi i terreni in cui la politica debba entrare in gioco. Non tanto e non solo perché di fronte alla tecnica sia necessario un sistema legislativo capace di porre limiti e possibilità. Quanto perché spetta alla politica divenire quel luogo di elaborazione culturale, e perché no filosofica, sullo spirito del nostro tempo, a partire dalla spiritualità laica di donne e uomini che di fronte all’avanzare della tecnica rivendicano il bisogno di interlocuzione con una sfera più alta di sé, in rapporto diretto con l’inconoscibile mistero della vita. Su questo terreno, io credo che nessuno possa ergersi a difesa di valori precostituiti. Certamente, l’avanzamento della bioetica, la possibilità di manipolare il proprio valore più intimo, il patrimonio genetico, il procedere incessante delle tecniche di fecondazione assistita necessitano di un luogo pubblico delle decisioni che non può essere lasciato alla scienza in quanto tale. Spetta bensì alla politica farsene carico con umanità e con saggezza. Qui entra in gioco la laicità. Non come estromissione di valori fondanti e appartenenti alla sfera del religioso – la vita come dono di Dio – quanto piuttosto come individuazione di un nuovo patrimonio collettivo fatto di regole condivise, l’etica, capace di tenere insieme le più alte aspirazioni delle donne e degli uomini. Uno spazio pubblico, dunque, come alto luogo di approdo delle istanze di tutti, laici e credenti, di ogni provenienza, appartenenza e orientamento.
Questa è la grande esigenza del nostro tempo: per questo di fronte a vicende come quella di Welby urtano insopportabilmente i referendum, gli «evviva» e gli «abbasso». Urtano perché la società di oggi necessita una grande riflessione su sé stessa, capace di affrontare il tema della morte non solo come uno spazio dove si incontrano paure e mistero, ma anche capace di riposizionarla dove essa sta, entro la luce della vita, a cui dare pertanto dignità, valore quanto alla vita stessa. Per questo io credo Welby meriti ciò che chiede. E lo merita la nostra società, pronta come è, io credo, a una nuova riflessione, moderna e laica, per costruirsi una ragione pubblica in cui le donne e gli uomini si riconoscano. Mi auguro che una sana discussione sul testamento biologico possa andare in questa direzione, così come mi piacerebbe che si parlasse di analisi pre-impianto. Con serenità, senza steccati, con l’ambizione di costruire quell’orizzonte condiviso, così necessario anche alle generazioni più giovani.
Questo vorrei fosse lo scenario con cui si confrontasse il dibattito del Partito democratico. L’articolo impegnato e appassionato di Piero Fassino, in fondo, richiama a un’idea di Pd che di questo si occupi, è questa la mediazione alta di cui si parla e che farebbe del Pd un partito nuovo, capace di dire alle cittadine e ai cittadini: «qui stanno futuro, etica e modernità, state con noi