RADICALI ROMA

Il flop della 40 dati alla mano

Meno bambini ma an­che più rischi per le donne e i nuovi nati nonché più insucces­si, con aborti spontanei e morti intrauterine. Risultati pessimi dopo tre anni di applicazione della legge 40 del 2004 sulla procreazione me­dicalmente assistita. A dirlo sono i dati dell’Istituto superiore di sanità (Iss), i primi da quando la legge per «mettere fine al Far west» – secon­do lo slogan coniato dal governo Berlusconi – ha iniziato a funziona­re. Ieri il ministro alla Salute Livia Turco ha inviato la sua relazione al parlamento. Forte delle percentua­li inattaccabili distribuite dall’Iss, il giudizio del ministero è secco: «Mi auguro che continui una riflessio­ne rigorosa e sobria sulla legge, a tre anni dalla sua applicazione, a partire dagli esisti dell’applicazio­ne delle tecniche».

 

 

 

Insomma, secondo il ministro – che pure evita di scende­re nell’arena dei favorevo­li o dei contrari alla legge 40 – poiché la legge non funziona, bisognerebbe agire di conseguenza. Modificandola? Ieri si so­no creati di nuovo i due noti fronti: chi è favorevo­le a cambiarla e chi no. Ma con una significativa differenza: a destra – tranne rare voci, come quella della deputata di Forza Italia Chiara Moroni – non ci sono più le aperture che anche au­torevoli esponenti dell’allora maggioranza mostravano quando si trattava di invitare le persone a di­sertare il referendum per l’abroga­zione della legge 40, promettendo che – in seguito – si sarebbe aperta una discussione in parlamento. A favore di una modifica della legge – e non soltanto delle sue linee guida – sono scesi in campo ieri il Prc, i Verdi, ma anche l’Italia dei Valori e qualche sparuta voce dei Ds. Tutti invitano a un «confronto» con l’op­posizione, se non altro per i voti risicatissimi al senato, anche se non tira aria di collaborazione. La de­stra ora difende a spada tratta la legge, promette barricate per impe­dirne «lo smantellamento» e accu­sa il ministero di voler dare una let­tura «ideologica» dei dati.

 

 

 

Eppure la relazione si basa su pu­ri numeri: diminuiscono le gravi­danze e aumentano i parti plurimi, un dato in controtendenza rispetto al resto d’Europa. Fare un confron­to con l’ultima relazione dell’Iss – ri­salente al 2003 – è complicato per­ché allora operavano soltanto 120 centri, che oggi sono saliti a 330. In termini percentuali la diminuzio­ne delle gravidanze è pari a 3,6 pun­ti, ovvero 1.041 gravidanze in me­no. Ma la sinfonia non cambia con­frontando i risultati ottenuti in 96 centri operanti già nel 2003. Anche in questo caso è evidente una dimi­nuzione di efficacia delle tecniche di procreazione assistita: in questo caso il calo di gravidanze è del 2,6%. Secondo il ministero non c’è dubbio su chi sia il colpevole: la leg­ge 40. Ma come? La legge sulla pro­creazione da un lato impone un li­mite alla produzione di embrioni (tre), dall’altro obbliga a impiantare tutti quelli che si formano. Cosic­ché da una parte si osserva un au­mento (13,7% nel 2003, 18,7% nel 2005} di tentativi di gravidanza ef­fettuati con un solo embrione. Una tendenza determinata dalla impos­sibilità di produrne di più, e non dalla valutatone del medico in ba­se alle caratteristiche della donna.

 

 

 

D’altro canto nel 2005 ben l’80% delle fecondazioni è avvenuta tra­sferendo più di un embrione. Nel 50,4% dei casi ne sono stati trasferi­ti tre, come da obbligo di legge. Ciò ha determinato un’impennata dei parti plurimi, più a rischio tanto per le donne che per i bambini: nel 2003 erano pari al 22,7%, nel 2005 erano invece 24,3%.

 

 

 

Ma ci sono anche altri elementi che emergono dalla relazione del­l’Istituto. Ad esempio l’aumento delle gravidanze che non vengono portate a termine: erano il 23,4% nel 2003, sono passate al 26,4% nel 2005. Anche questo elemento, spiega la relazione, è determinato dall’obbligo a impiantare tutti gli em­brioni prodotti.

 

 

 

L’Istituto punta il dito anche sul­l’attuale stato dei centri della fecon­dazione: è vero che ce ne sono pa­recchi, ma spesso operano soltan­to pochissimi interventi. Secondo il ministero «è necessario migliora­re la qualità dei servizi da offrire al­le coppie, giacché l’esperienza nell’applicazione delle tecniche rive­ste un ruolo determinante». Allo stesso modo, esiste una disomoge­neità territoriale tra nord e sud nel­la distribuzione dei cenni, causa principale della cosiddetta «migrazione» da regione a regione. Senza contare la «migrazione» all’estero dove, secondo la relazione, le cop­pie italiane si trasferiscono non sol­tanto per usufruire di leggi più aperte, ma anche per ottenere mi­gliori risultati.