Caro Direttore, l’Italia ha bisogno di imboccare subito la strada delle riforme, a cominciare dal sistema previdenziale e dalle liberalizzazioni. Il futuro dei nostri giovani e dei consumatori dipende dal coraggio con cui l’intera classe politica affronterà questa sfida che non è più rinviabile. L’Udc è interessata a partecipare al dibattito che il governo avvierà, in particolare, sulle liberalizzazioni.
Abbiamo idee e proposte, siamo pronti a dare il nostro contributo se il governo non sarà sordo agli apporti esterni e a patto che tutto avvenga alla luce del sole e con chiarezza: un’opposizione seria non segue la strada dell’ Aventino, non si limita a compiacersi degli errori altrui, ma incalza chi governa, lo spinge e lo sollecita sempre.
Per cominciare, però, contestiamo che con provvedimenti come il decreto Bersani si siano già fatti sostanziali passi avanti. Non è stato infatti toccato il cuore del problema: i monopoli pubblici locali di aziende ex municipalizzate, specie comunali, gestiscono tuttora settori strategici come l’energia, il gas, l’acqua e i trasporti, ma anche l’edilizia e i servizi. Negli ultimi cinque anni, come risulta da una ricerca del Sole 24Ore, le società a partecipazione comunale sono aumentate del 120%. Sono ancora troppi i mercati da liberalizzare e le imprese pubbliche da privatizzare. Gli anni 90 ci hanno insegnato che privatizzare senza liberalizzare porta solo a sostituire i monopoli pubblici con monopoli privati, alimentando ampie posizioni di rendita e di potere.
Le teorie economiche, ma soprattutto l’esperienza di altri Paesi europei, ci insegnano che la capacità di offrire servizi più efficienti a costi più bassi dipende dalla diffusione della concorrenza. Sotto questo aspetto, l’Italia soffre di una grave arretratezza in settori strategici, col risultato che le nostre tariffe sono tra le più alte d’Europa, la qualità dei servizi non migliora, e il tutto ha gravi ripercussioni sui bilanci delle famiglie e delle imprese.
La concorrenza per noi non è fine a se stessa, ma è uno strumento che ha come obiettivo la tutela dei consumatori e della collettività. Perciò il tema va affrontato in modo non ideologico ma laico, oltre la logica delle appartenenze politiche. Soprattutto, non può essere affrontato spacciando il mercato e la concorrenza per un far west privo di regole e governato dalla forza. Al contrario, bisogna che il mercato sia sempre più il luogo delle regole, nell’interesse di tutti.
Il disegno di legge del ministro Lanzillotta sui servizi pubblici locali è una buona base per un confronto serio in Parlamento. Apprezzo la scelta del governo di andare in maniera decisa verso il sistema esclusivo delle gare per l’affidamento dei servizi e verso la separazione tra reti e gestione, lasciando le prime in mano pubblica. Il ddl dimentica tuttavia di affrontare il tema cruciale del conflitto di interessi tra gli enti locali regolatori e le aziende erogatrici dei servizi. I primi non possono essere interessati alle sorti economiche delle seconde. Il pericolo è che gli enti locali, per motivi economici e clientelari, privilegino nelle gare le proprie aziende: una lampante distorsione del sistema concorrenziale. Vanno introdotte misure che marchino la separazione tra i due soggetti. Le regole sui limiti alle concentrazioni e quelle sulle funzioni di controllo devono essere già chiare nella legge delega, affinché il legislatore delegato non possa che applicarle.
E’ bene che dalle vaghe affermazioni di principio si cominci anche e soprattutto noi politici a entrare nel merito delle questioni.
Avanzo due proposte concrete: forme di incentivazione agli enti locali che dismettano le loro partecipazioni nelle società pubbliche, perdendone il controllo (l’incentivo potrebbe essere commisurato ai dividendi che gli enti locali cessano di percepire a seguito delle dismissioni), oppure limitazione dei diritti delle azioni possedute dagli enti locali nella scelta degli organi di governo delle società. Se il ddl Lanzillotta naufragherà come il Dpef, dopo aver urtato contro lo scoglio massimalista, o sarà accantonato nel cammino parlamentare per raggiungere un compromesso nella maggioranza, non solo avremo perso un’occasione, ma avremo condannato il Paese ad arretrare rispetto ai suoi agguerriti concorrenti stranieri.