«Ero più che preparato». Marco Pannella lo sapeva, l’aveva capito da tempo e quando, a tarda sera, arriva la notizia ufficiale della bocciatura della sua candidatura da parte dell’ufficio tecnico del Partito democratico, risponde sicuro: «Ricorrerò. E comunque combatteremo fino a quando nello schieramento opposto non si manifesterà una minoranza laica e liberale, determinata, consapevole, intransigente e concreta». Insieme a Pannella l’altro bocciato è Antonio Di Pietro, anche lui «non riconducibile al percorso costitutivo del soggetto unitario». Dall’entourage dell’ex pm emerge una certa sorpresa: «Non ce l’aspettavamo. Certo, se era tutto già precostituito, allora vuoi dire che abbiamo scherzato. E che hanno fatto bene a tenerci fuori».
Finisce così, con due rumorose bocciature, la giornata della candidatura alla leadership del Pd. Pannella prospetta sciagure: «Ci si pone il problema, come alle elezioni, di come salvarli e salvarci tutti da una disfatta che costituirebbe un salto nel buio per il Paese, con le peggiori prospettive immaginabili».
È da poco passata la mezzanotte. Piazza Santi Apostoli è ormai vuota.
Tre ore prima, alle 21, quando il cronometro delle candidature sta per fermarsi, l’ultimo ad arrivare è Amerigo Rutigliano. Si precipita al terzo piano correndo per le scale, affannatissimo, con mucchi di foglietti con le firme in mano. Tempo scaduto. Rimbrottato, prova a giustificarsi: «Ma come, sono solo dieci minuti, vi avevo detto che ero in ritardo…». Bocciato senza pietà. Poco prima era arrivato sgommando Furio Colombo, ormai dato per disperso: «Mancano nove minuti, che fretta c’è?».
Davanti al tavolo ovale arrivano in undici, per consegnare le 2.000 firme necessarie. A riceverli c’è Nicodemo Oliverio. Lo «storico» momento viene immortalato dalle telecamere del nascente Pd, con tanto di interviste ai candidati, da oggi in rete nel sito dell’Ulivo. Unico a rifiutarsi, Leoluca Orlando, venuto ad annunciare la discesa in campo di Di Pietro: «Quando abbiamo raccolto le firme? Domenica, no? Mica siamo andati al mare noi». Tempo sprecato. Anche se il tentativo di candidatura fa paura. Infatti Furio Colombo, avvisato dai cronisti dell’arrivo di Orlando, ci rimane male: «Certo, Di Pietro mi potrebbe togliere spazio sul fronte dell’antiberlusconismo e della legalità». Pannella teorizza: «Ora c’è anche Tonino, oltre a noi: possono fare fuori anche lui?». Possono. In tarda serata il doppio no sarà ufficializzato dai magnifici sette dell’ufficio tecnico amministrativo: il presidente Meo Stumpo, Roberto Agostini, Margherita Miotto, Nicodemo Oliverio, Rino Piscitello, Fausto Recchia e Francesco Graziano.
Pannella l’aveva quasi previsto già nel pomeriggio, prima di fumare il suo toscanello all’anice al terzo piano: «Ho scoperto un regolamento segreto: c’è scritto che prendono tutti, tranne me. La verità è che c’è un fatto viscerale contro di noi, è una questione di Dna, ci devono esorcizzare». Accanto a lui ascolta attento Sergio Stanzani, radicale storico, in sedia a rotelle.
Passa Alain Elkann e si informa: «Ma ti candidi tu o la Bonino?». Pannella risponde calmo, poi si lascia andare: «Se ci bocciano faremo ricorso. Non li possiamo abbandonare alla loro scemenza. Dalla Chiesa diceva: Curcio andava, Negri mandava. Questa è cattiva, lo so, mi è scappata». Gliene scappa un’altra, per incoraggiare Colombo, che a un certo punto sembra non avere le firme: «Furio è una persona splendida, ma deve imparare a combattere contro la mafia».