RADICALI ROMA

il manifesto – I guai di Marino dalla A alla C

di Daniela Preziosi – Chi si aspetta che il diavolo vada in giro con le corna, e i buffoni con il berretto a sonagli, sarà sempre loro preda, dice il saggio. Chi si aspetta che sia la destra romana a tentare di disarcionare il sindaco Marino, giunto alla curva più difficile, l’approvazione del bilancio della Capitale che galleggia su un buco da oltre 800 milioni di euro, deve allontanarsi dai dettagli della tumultosa aula Giulio Cesare. Metterà a fuoco che pesa poco la gomitata che il sindaco si è beccato in testa da un «fratello d’Italia», fallo controverso come in un campionato che all’improvviso gira male. E poco pesano anche i cortei dei senzacasa, dei sindacati o dei vigili – che ieri hanno minacciato guerra totale, fra loro e il sindaco è nata male, ma sarebbe un’altra storia -. Anche i movimenti non sempre sono quello che appaiono.

Le cose che si muovono attirano più l’occhio di ciò che sta fermo, avvertiva Shakespeare. E nell’aula Giulio Cesare c’è un bel signore, fermo da mesi come una statua dei Marmi – del paragone si compiace, dalle vacanze spagnole sono state ‘rubate’ foto in posa che lo ritraggono con ‘tartaruga’ tirata e quadricipite non banale. Un signore che improvvisamente, a freddo, ha sferrato l’assalto. Alfio Marchini, il rampollo della famiglia di costruttori a capo di una formazione soidisent moderata da 9 per cento, amico e socio della gens Caltagirone, ha presentato 62mila ordini del giorno, la metà di quelli delle opposizioni su un bilancio le cui voci del resto parlano dell’era Alemanno. Gli ordini del giorno, miracoli del regolamento, hanno l’effetto di bloccare l’aula. Per il voto c’è tempo fino a fine mese. Ieri Marino ha incontrato il prefetto per allungare il termine. La destra non ha alcuna intenzione di far saltare il sindaco, sul quale vuole costruire la campagna delle europee. Marchini invece sì. Vuole il commissariamento. Evitando elegantemente il Messaggero, proprietà dell’amico Caltagirone, lo ha annunciato al Corriere della sera (dove l’amico è solo azionista di azionisti): punta al default, «l’unico modo per mettere tutti di fronte alle proprie responsabilità», ha detto.

 Tutti, cioè Marino. E la responsabilità di Marino – con i suoi difetti, di cui poi parleremo – per lui si riducono ad una: aver preso di punta alcuni interessi consolidati della città. Non «i poteri forti» come li chiamano i fricchettoni, e neanche il club dei «palazzinari»: i Toti, i Parnasi, per dire, oggi non stanno facendo la guerra al sindaco. Marino si è messo in testa di risolvere due grosse grane della città: l’Acea e la Metro C. E le due grane hanno appunto un cognome, Caltagirone, e un nome, Alfio. Anzi “Arfio”, come lo chiamano i romani da social network, bonaccioni e sempliciotti come i centurioni di Asterix. Fra Marino e Caltagirone ormai c’è quella che i politici – ma non Marino che ha vinto al grido «è Roma, non è politica» – chiamano un’incompatibilità strategica. Un’irriducibile divergenza di interessi. Insomma guerra aperta. Il sindaco l’ha capito venti giorni fa quando ha incontrato l’imprenditore, come ha riferito ieri ancora il Corriere. Qualche giorno dopo, e siamo a due domeniche fa, è andato a trovare l’amico Goffredo Bettini, paziente costruttore di ponti fra nemici giurati della Capitale. Che con Caltagirone ha rapporti cordiali. E oggi si tiene da parte, con un sindaco cui piace pensarsi come un uomo che non deve chiedere mai. Fatto sta che stavolta con l’imprenditore sono saltati tutti i ponti. Perché Caltagirone, già grande elettore di Alemanno, poi ispiratore (negato) della corsa di Marchini, ha sulla scrivania gli stessi due faldoni del sindaco: Acea e Metro C.

Sull’Acea, l’azienda dell’acqua: Alemanno in calo di popolarità aveva tentato apparecchiarne la vendita. Ma la città si rivolta e il Pd – che pure a suo tempo aveva aperto ai privati in quote di minoranza – si batte contro contro l’operazione. Che infatti fallisce. A questo punto Alemanno, titolare del 51 per cento dell’azienda, si impegna comunque a non intralciare il socio Caltagirone. Che in Acea è in primis un finanziere: vuole fare profitti, e poco si interessa della rete, che infatti è deteriorata. Oggi il nuovo sindaco invece ha in testa e nel mandato che l’Acea produca servizi per i romani. E vuole avere voce in capitolo sul management, con buona pace del presidente Giancarlo Cremonesi e dell’amministratore Paolo Gallo. È muro.

Così come è muro sulla Metro C, di Metro C spa, di Caltagirone e soci. Le spese, dal momento in cui è partita l’opera, sono lievitate. Il corsorzio ha annunciato che non pagherà gli stipendi a tremila lavoratori, e ora batte cassa. Sindacati in rivolta. Il comune non ci sta a essere scambiato per un bancomat, si apre un conflitto in giunta. «È arrivato il momento di verificare la legittimità di ulteriori pagamenti a Metro C per garantire l’interesse del comune», spiega il consigliere radicale Riccardo Magi. La vicenda assomiglia a quella dell’Auditorium, anno di grazia ’99: Rutelli ereditò il cantiere in panne e costi saliti alle stelle. Decide di rescindere i vecchi contratti e l’opera passò ad altre ditte.

Sono passati quindici anni dall’epoca, dal Modello Roma e dalle intese cordiali fra imprenditori e sinistra capitolina. Oggi Caltagirone è più anziano e più finanziere. L’attuale sindaco è meno romano e le casse della città drammaticamente vuote. «La giunta si è caricata di responsabilità altrui, il bilancio preventivo avrebbe dovuto essere approvato a dicembre 2012. Un commissariamento sarebbe una sciagura», avverte il presidente della regione Zingaretti, che tanto si è speso per l’elezione di Marino. Gli appelli si moltiplicano, e gli spettri: abbassamento del rating, figuraccia mondiale.

Marino, che ha tutte le ragioni in questo Conflitto Capitale, però accumula torti a casa sua. Chi ci lavora a contatto descrive un uomo integro ma poco propenso all’ascolto. Così ha composto la giunta, con l’encomiabile preoccupazione di non darla vinta al notabilato, ma con l’effetto di sbagliare persone, o di nonmetterle nelle caselle giuste. Opposte famiglie del Pd invocano – off the record – un rimpasto e si contestano reciprocamente l’assessora Flavia Barca alla cultura, Paolo Masini ‘sprecato’ ai lavori pubblici, la giovane dalemiana Marta Leonori ‘catapultata’in uno svincolo strategico come le politiche del commercio, Alessandra Cattoi alla scuola, Daniela Morgante al bilancio. Per non parlare dei collaboratori ormai leggendari in Campidoglio per la poca cordialità con il mondo, dal capo di gabinetto Luigi Fucito al capo ufficio stampa Marco Girella, già portavoce del sindaco di Bologna Del Bono (quello del ‘Cinzia Gate’), scrittore di noir sotto pseudonimo, protagonista di plateali gesti di indifferenza con i capiredattori della grande stampa della Capitale, magari fin qui troppo abituati al red carpet. Ma che certo non hanno aiutato la causa di Marino.

Dice un dirigente romano: «Se vuoi dichiarare guerra al mondo devi avere il ‘Grande Brasile’». Il grande Brasile non c’è. Né il Pd romano, sempre diviso ma oggi atterrito dallo spettro di un commissariamento, può spegnere la miccia. Stavolta e finalmente i democratici si sono stretti intorno al nuovo segretario Lionello Cosentino, uomo di polso e di larghe intese interne. Ma nella guerra con la gens Caltagirone, ormai il Pd non tocca più palla: neanche il coté di tradizione accomodante e pronta ad accettare «un pranzo per discuterne». I pranzi sono finiti. La pazienza di Caltagirone anche. E chi, come lui, si sente un dio a Roma, non ha alcun bisogno di dare ordini, neanche a Compare Alfio: convinto che gli dei muovono la testa e tutto si compie.