L’appello è rivolto a «donne e uomini cattolici che danno una valutazione per molti aspetti negativa dell’operato di Giovanni Paolo II». Il tono non è oltranzista. Si afferma di non «voler ignorare gli aspetti positivi del pontificato, come l’impegno per la pace o il tentativo di ammettere le colpe storiche» e non si negano «aspetti virtuosi della sua persona». Ma si afferma che la causa avviata il 28 giugno non può non tener conto di decisioni di Wojtyla che «dovrebbero essere d’ostacolo alla beatificazione» e se ne elencano sette, dalla condanna della «teologia della liberazione» alle riaffermazioni dei tradizionali precetti sessuali, alla tolleranza verso le «torbide manovre» finanziarie dello Ior.
I PUNTI — L’«appello alla chiarezza» è stato presentato alla stampa — presso la sede dell’agenzia «Adista» — dall’ex abate di San Paolo Giovanni Franzoni e dall’ex docente salesiano Giulio Girardi. Tra i firmatari, oltre a loro, figurano: Jaume Botey, Casimir Martì e Ramon Maria Nogues (Barcellona), Josè Maria Castillo (San Salvador), Rosa Cursach (Palma de Mallorca), Casiano Floristan (Salamanca), Filippo Gentiloni (collaboratore del manifesto) e Josè Ramos Regidor (Roma), Martha Heizer (Innsbruck), Juan Josè Tamayo (Madrid), Adriana Valerio (Napoli).
Il primo dei sette punti è così formulato: «Repressione ed emarginazione esercitate su teologi, teologhe, religiose e religiosi, mediante interventi autoritari della Congregazione per la dottrina della fede». Segue la «tenace opposizione a riconsiderare, alla luce dell’Evangelo, delle scienze e della storia, alcune normative di etica sessuale che in 26 anni hanno manifestato contraddittorietà, limitatezza e insostenibilità». Per terza viene posta la «dura riconferma della disciplina del celibato ecclesiastico obbligatorio», ignorando «il diffondersi del concubinato fra il clero di molte regioni» e «celando, fino a che non è esplosa pubblicamente, la devastante piaga dell’abuso di ecclesiastici su minori». Quarto il «mancato controllo su manovre torbide compiute in campo finanziario da istituzioni della Santa Sede». Quinta «la riaffermata indisponibilità ad aprire un serio dibattito sulla condizione della donna nella Chiesa». Sesto «il rinvio continuo dell’attuazione dei principi di collegialità». Infine «l’isolamento ecclesiale e fattuale in cui la diplomazia vaticana e la Santa Sede hanno tenuto mons. Romero, arcivescovo di San Salvador» e la «politica di debolezza» verso le dittature latino-americane.
PARERE CRITICO — Pare che i promotori dell’appello abbiano chiesto anche la firma di Hans Küng, che non l’ha data, pur avendo un parere critico sul pontificato del papa polacco. Il movimento «Noi siamo Chiesa», che ha una posizione simile a quella di Hans Küng, al momento della morte di Giovanni Paolo II pubblicò un comunicato intitolato «Un papa e un pontificato pieni di contraddizioni», ma fino a oggi non ha fatto opposizione alla beatificazione.