RADICALI ROMA

Il no della senatrice

«Binetti e Turigliatto non sono uguali», dice il Senatore Giorgio Tonini al Riformista (11 dicembre) per giustificare il sorprendente no della senatrice Binetti che – per ragioni religiose – nega la fiducia al governo Prodi.

Tonini ha ragione, a patto di rovesciare il senso della sua frase. Da Turigliatto si può (si deve, io credo) dissentire, ma non c’è niente di illogico nel suo negare il voto a Prodi. Vuole un’altra politica, si accorge di non essere al posto giusto nel momento giusto. Lo dice chiaro e paga il prezzo del non ritorno. Sapeva che si sarebbe separato, per ragioni che gli importavano, e si è separato. L’esclusione dal suo partito è un’altra cosa, non di questa stiamo parlando ma della vera conseguenza della sua decisione. Ha detto no, è uscito dal gruppo che lo aveva eletto e sta andando per la sua strada.

La Binetti invece ci sta dicendo che siamo noi a sbagliare.

«Noi» non vuol dire cattolici e non cattolici, o più o meno credenti. «Noi», detto dalla senatrice Binetti, vuol dire non obbedienti. Qui l’obbedienza è a una particolare interpretazione di un potere religioso che è anche un potere statuale, dunque politico, e che si situa fuori da una linea di confine. Definiamo la parola appena usata, confine. Quale confine? Di chi? Di che cosa?

Ciò che rende il caso Binetti quasi certamente unico e molto diverso dal dissenso ideologico o dalla separazione politica è una forma di estremismo per il quale l’interessata non ha dato una spiegazione. Il fatto è che la senatrice Binetti si è gettata con sprezzo del pericolo (il pericolo grande e imminente di far cadere il governo e liquidare un periodo della vita italiana) per un brivido di ubbidienza a un ordine di cui non si ha notizia pubblica. Come nel “Deserto dei Tartari”, a forza di scrutare e di stare in guardia, ha visto il nemico (non gli omosessuali ma i disubbidenti all’ortodossia di una gerarchia che nasconde la mano) e ha lanciato l’arma del no, che avrebbe potuto spaccare la coalizione di governo. Per fortuna, nella concitazione del momento, ha sbagliato il colpo e non ha leso (non ancora) organi vitali.

Ma ha fatto un danno molto grande, ha creato una spaccatura pericolosa – fatta di disagio, diffidenza, legame strappato, disprezzo – per una ragione del tutto sconnessa col gesto e la ferita arrecata. In che senso? Ma perché l’impegno a condannare in ogni modo le discriminazioni comunque motivate contro la dignità delle persone, è già previsto dalla Costituzione italiana che non richiede autorizzazioni religiose. È già in vigore da sessant’anni. E allora dire no alla Costituzione è più sorprendente, più strano e dirompente che dire no a un governo.

Oppure quel “no”, salutato da uno scroscio di applausi della distruttiva opposizione berlusconiana voleva dire assestare un colpo sproporzionatamente duro (potenzialmente definitivo) al governo, e diventare protagonista di una sequenza imbarazzante per la maggioranza, degna di festa degli avversari. E tutto ciò per futili motivi. “Futile”, qui, vuol dire del tutto sconnesso con la portata di una ribellione e dissociazione totale. Quella dissociazione totale ha portato all’attenzione di un Paese stupito poche righe inserite in una lunga legge sulla sicurezza solo per confermare la repulsione – che in Italia per fortuna prevale fra credenti e non credenti – contro ogni possibile gesto di discriminazione per ragioni sessuali. È la civile ovvietà di quelle righe clamorosamente respinte dalla Binetti con una netta dissociazione da un governo mite e prudente, più prudente di quasi ogni Paese d’Europa, in materia di rispetto delle libertà private, è la civile ovvietà di quelle poche righe a creare stupore e amara sorpresa.Spiace constatare che tutto ciò che è stato detto dopo, dalla senatrice Binetti (che trova i gay «straordinariamente intelligenti», una infelice assonanza con «l’elogio degli Ebrei e delle loro qualità uniche» da parte di chi intende comunque sottolinearne la diversità) non chiarisce il perché di un gesto allo stesso tempo drammatico e futile, salvo che come forma di autocertificazione di esclusivismo cattolico. E ripete il richiamo a una «questione di coscienza» francamente imbarazzante. Chi può dire, in quest’epoca, in questa Italia, e sia pure da una zona oscura della Chiesa di Ratzinger che un credente non può, non deve votare in favore della protezione di un essere umano, senza avere prima raccolto informazioni precise sul suo stile di vita?

L’imbarazzo aumenta quando interviene Monsignor Fisichella, vescovo, docente di Università pontificia, cappellano del parlamento. Dice l’assistente spirituale di Deputati e Senatori credenti: «Quando ci sono coalizioni, il problema è sempre il rispetto delle identità. Se non c’è, mi pare difficile arrivare a soluzioni condivise, Soprattutto non bisogna pensare di avere la verità in quanto laici».

L’affermazione o è priva di senso logico (se l’identità è fissa e rigida, la “soluzione condivisa” può essere soltanto la resa) o è allarmante per il sarcasmo dedicato ai laici, che si permettono di avere una loro verità. Ma il vescovo-docente-cappellano e padre spirituale del Parlamento aggiunge una incredibile frase in più: «Troppo facile accusare di fondamentalismo chi dissente quando non si vogliono rispettare le regole del gioco democratico. Così si impedisce anche la possibilità di arrivare a compromessi che riescano a salvaguardare le differenze» (il Corriere della Sera, 11 dicembre 2007). Traduzione: democrazia è solo ciò che avviene sotto il vessillo vaticano. Compromesso è solo rimuovere da una legge ciò che il Vaticano – tramite Binetti – non vuole. O cancellare tutta la legge, come è avvenuto per i pacs-dico-cus. O come si sta per fare per la legge sul testamento biologico.

Inevitabile trarre due conclusioni. Eventi del genere, ovvero la esibizione di un estremismo religioso estraneo ai percorsi (dare, avere, spiegare, compromettere) della ragione, non erano mai accaduti in questa Italia pur così sensibile non tanto alla religiosità quanto alla autorità religiosa. Certo, non era mai accaduto prima del papato di Ratzinger. Evidentemente questo governo vaticano sta concentrando tutte le sue risorse di influenza, intimidazione e controllo dei media esclusivamente sull’Italia, il suo Parlamento, il suo governo. Infatti non si ha notizia di comportamenti del genere in ogni altro Paese democratico cattolico, né una simile mancanza di rispetto per un altro governo. E anche: il no della Binetti non è che un avvertimento. Intima di non provare mai più i percorsi della disubbidienza a ciò che lei considera ortodossia. Ci hanno detto che – se e quando lo riterranno necessario – non ci penseranno un istante e, come camionisti e tassisti, il loro blocco scatterà subito. La coscienza degli altri interessa poco. La verità dei non sottomessi? Non scherziamo.