Israele è sola e sta scontando la drammaticità della sua solitudine. Minacciata, accerchiata, terrorizzata non solo da stati canaglia ma da un’opinione pubblica internazionale manipolata dal martellamento di un’informazione viziata da pregiudizi antisemitici e opportunistiche scelte politiche, non riesce a trovare in sé la forza per spezzare la spirale dell’odio finendo, purtroppo, per essere prigioniera della propria impotenza. Aggredita, all’esterno, da una propaganda fomentatrice di atti terroristici nonché di una guerra senza sosta il cui unico scopo è l’annientamento della sua esistenza e vittima, all’interno, di un esasperato nazionalismo, sembra avere dimenticato di essere quell’eco d’eternità cui un filosofo come Abraham Joshua Heschel ha dedicato pagine toccanti. Se ciò è accaduto la responsabilità va in primo luogo imputata a chi ha abbandonato e continua ad abbandonare lo stato ebraico a se stesso, ascoltando unicamente le ragioni di chi ne vuole la sparizione, l’annullamento. Proprio in queste ore in cui risulta difficile se non impossibile porre freno al dilacerante cannibalismo, al diffondersi della peste della vendetta, e ricomporre ciò che la morte ha divelto, dobbiamo sforzarci di aiutare Israele ad affrontare i suoi incubi e superarli. E siamo chiamati a farlo senza astrusità retoriche ma con la concretezza di una visione politica seria, adeguata non tanto alle esigenze del momento quanto ad un futuro che preme inesorabile alle porte. Le lacrime di coccodrillo degli opinionisti nostrani, che gareggiano nell’infarcire i loro articoli di luoghi comuni, servono a ben poco, anzi a nulla. L’equivicinanza ancora meno.
Tutti concordano sulla necessità di porre fine alla tragedia che abbiamo innanzi ma nessuno si è preso la briga di capire realmente perché si è arrivati a questo punto. Nessun governo ha avuto, per esempio, il coraggio di chiedere ad alta voce la messa al bando degli hezbollah, partito-esercito nel cui nome si spartiscono ingenti interessi politici ed economici e dietro cui si celano le mani adunche e il ghigno di nuovi Hitler in versione terzomondista. Si è troppo minimizzata, sottovalutata, la minaccia proveniente da satrapi come Mahmud Ahmadinejad, Hugo Chavez, Kim Jong II e, nello stesso tempo, si tace sul ruolo ambiguo e pericolosissimo che nello scacchiere internazionale sta giocando Vladimir Putin. Qualcuno, nel nome del dio petrolio, è arrivato addirittura a vedere in quest’ultimo un campione della democrazia, negando il genocidio nei confronti dei ceceni e anzi plaudendo all’interventismo contro i caucasici, dimenticando troppo in fretta che il dispotico governante nel suo passato prossimo non è stato presidente di una squadretta calcistica ma a capo degli spietati servizi segreti comunisti avallando, quindi, rapimenti, torture, assassinii, gulag, ospedali psichiatrici per dissidenti, malvagità di ogni sorta. Da anni, tra l’altro, i corpi esanimi di Andrea Tamburi e Antonio Russo, italiani, radicali, uccisi proprio in quelle terre invocano invano verità e giustizia. Sarebbe dignitoso, oltre che doveroso, avviare una volta per tutte accurate indagini. Ma torniamo alla questione mediorientale.
Israele con i suoi sciagurati errori sta dimostrando di necessitare di un sostegno che deve esprimersi non nell’approvazione della guerra ma nella richiesta ferma, convinta, della sua ammissione, contemporaneamente alla Turchia, in seno all’Unione europea. Negare l’importanza di questa che è molto di più di una richiesta di appartenenza equivale a condannare allo scacco Israele insieme ai palestinesi, ai libanesi, ai bambini, alle donne di una fascia geografica che giorno dopo giorno pare maledetta da Dio e dagli uomini. Israele non è uno stato come gli altri ma, come sosteneva Heschel, costituisce una scommessa. E’ una sfida di democrazia. Spetta a noi saperla e volerla accettare e vincere nell’interesse di tutti e, in primo luogo, della pace.