RADICALI ROMA

«Il partito democratico non si fa con Ruini»

  «Care compagne e cari compagru, si apre oggi il quarto e ultimo congresso dei socialisti democratici italiani». Potesse dirlo a ragion veduta, avesse la certezza che il fidanzamento dello Sdi coi Radicali diventerà presto matrimonio in comunione di beni, forse oggi Enrico Boselli attaccherebbe così la sua relazione introduttiva alle assise nazionali del partito a Fiuggi, dando appuntamento ai delegati al primo congresso della Rosa nel pugno. Di certo, che questo sia o no l’ultimo congresso dello Sdi, Boselli avrebbe piacere che ad applaudire il suo intervento ci fosse in platea anche Umberto Veronesi, la cui candidatura nelle file radical-socialiste viene quotata presso il quartier generale socialista al cinquanta per cento, più o meno la stesse probabilità che l’oncologo ed ex ministro della Sanità sia ospite d’onore in almeno una delle tre giornate in cui si snoderà il dibattito congressuale. Dibattito senza mozioni, ma con denuncia incorporata: «C’è un complotto per far partire ad handicap la Rosa». Dopo il Senato anche la Camera ha bocciato – per soli dieci voti e con molte assenze tra i banchi dell’Unione, tanto che Boselli ha invitato la coalizione a «un esame di coscienza» e Marco Pannella ha incolpato il centrosinistra del «massacro» subito – la mozione per liberare la Rosa dall’obbligo di raccogliere le firme e depositare le liste un mese prima degli altri. I radical-socialisti hanno perlomeno incassato, oltre al sostegno di tutti i gruppi parlamentari dell’opposizione, un discorso in aula del capogruppo della Margherita Pierluigi Castagnetti, da sempre uno dei più critici sull’arrivo dei radicali nella coalizione, che Roberto Villetti giudica lo sdoganamento definitivo del nuovo soggetto. «Quello di Castagnetti – dice il vicepresidente del partito al Riformista – è stato un discorso di altissimo valore politico. Purtroppo non ce l’abbiamo fatta. Del resto, noi siamo l’unica novità delle prossime elezioni e questa è una società chiusa a tutte le novità». Ora, salvo colpi di scena dell’ultima ora in Parlamento, è un piano serrato di raccolta delle firme la via per un posto sulla scheda elettorale.

 

 

 

 Ma non di sole urne potrà vivere la tre giorni di Fiuggi. Lo Sdi deve spiegare (anche a qualche critico interno) se è davvero reale il rischio che il partito sia fagocitato dalla sovraesposizione mediatica dei radicali (e di Pannella in particolare) e cosa ne è di quello che fino a pochi mesi era l’orizzonte stragetico dei socialisti: il partito dei riformisti (divenuto nel frattempo Democratico). Sul primo punto è Ugo Intini, già responsabile informazione del Psi, a chiudere la questione: «Noi abbiamo avuto problemi di visibilità. Mi pare che ora, anche grazie a Pannella, la nostra visibilità sia indiscutibilmente aumentata. Dunque, tutto di guadagnato dall’alleanza coi radicali». Sul secondo punto, sarà Boselli a riprendere nel suo discorso il passaggio delle Tesi di congresso che spiega la riconversione strategica del partito «La Margherita, sotto l’impulso di Francesco Rutelli e contro il disegno di Prodi, ha avuto una mutazione genetica, trasformandosi da prototipo dell’Ulivo a partito a prevalente connotazione confessionale. Questo cambiamento non poteva non colpire al cuore il progetto prodiano poiché è inconcepibile solo poter ipotizzare la costruzione di un nuovo partito democratico e riformista al cui interno vi sia una componente fondamentale che si richiami disciplinatamente alle indicazioni di voto e alle prescrizioni morali dettate dalle gerarchie ecclesiastiche». Aggiunge Villetti: «Ancora oggi (ieri, ndr) la gran parte della Margherita ha votato in aula contro la soppressione del finanziamento alle scuole private. Come si fa a fare il partito democratico con Ruini presidente? Io non sono irrispettoso verso la presenza di un’identità confessionale nella coalizione, ma penso che questa identità sia inconcepibile dentro un  soggetto riformista». Chiosa Intini:  «Allo stato dei fatti quello che si  va prefigurando tra Ds e Margherita è un’alleanza tra post-Pci e post-Dc, un compromesso storico inversione bonsai. Se in futuro ci sarà spazio per tornare a un grande partito liberal-socialista, siamo pronti a rimetterci in gioco». Ma non c’è il pericolo che la battaglia sulla laicità trasformi la Rosa nel  pugno in un partito a tema unico? Villetti respinge l’obiezione: «La laicità è connessa, oltre che ai diritti civili, anche alle istituzioni dello Stato, all’economia, alla politica estera». E l’ultraliberismo dei radicali? Come si concilia col socialismo? «Agitare la bandiera della libertà in economia – risponde Villetti – non è in contrasto con la difesa dei ceti più deboli. Al contrario, può esserne la miglior garanzia. Eppoi chi sono i riferimenti storici dei radicali? Gaetano Salvemini, Piero Calamandrei, Ernesto Rossi, tutti esponenti del socialismo liberale».