RADICALI ROMA

Il Riformista – Biagio De Giovanni- Non lasciamo che una speranza politica finisca in farsa

Ovvero: la montagna partorisce un topolino vestito di tutto punto in puro politichese. La montagna, proprio cosi, anche se tutto e relativo: giacche il progetto della Rosa, per il quale in molti ci siamo spesi, al quale in molti abbiamo creduto, nel quale molte storie diverse sono confluite, e stato un progetto serio, fondato, the ricercava radici comuni, e antiche e presenti storie italiane, e si ritrovava in una idea centrale, sintetica, che era nel principio, insieme, di una rivoluzione liberale e solidale, capace di aiutare l’Italia a uscire dalle secche dei corporativismi e delle oligarchie consolidate. Il vero embrione di un partito democratico e apparso per qualche tempo la Rosa nel pugno. In grado di dare molti colpi da ko a quella confusa mistura di lingue babeliche che dovrebbe dar forma al partito democratico, quello ufficiale, più che mai araba fenice in un panorama slabbrato e controverso. Eppure, questa grande occasione si va disperdendo anch’essa in rivoli a loro volta confusi e slabbrati.

Un destino cinico e baro grava sull’Italia? No, mai come questa volta nessuna fatalità può fare da alibi alle insufficienze dei gruppi dirigenti, alla loro incapacità di rinunciare a qualcosa della loro identità consolidata a favore di quella idea affascinante e innovatrice da cui tutto sembrava esser nato. Non mi ergo a parte terza nel confronto, provenendo da una vicenda diversa da quella radicale e socialista. La forza della Rosa stava (sembrava stare) proprio nel fatto che nessuno si sentiva terzo, mediatore, o altro di simile. Ma come nessuno di noi, credo, si sentiva terzo o mosca cocchiera, cosi si poteva immaginare che le componenti principali, quelle che nella loro sintesi davano vera dignità storico-politica al progetto della Rosa, avrebbero trovato il punto di equilibrio in grado di mettere in angolo opposti estremismi e rigurgiti identitari che riportano tutta la situazione all’indietro, impedendo all’embrione di spiccare il suo volo. Cosi non e stato.

Non spetta a me (e come potrei pensarlo?) individuare colpe e responsabilità, ma di certo responsabilità di tutti non possono non esserci se il processo di sintesi non si e avviato, se sono trascorsi mesi e mesi, dopo la riunione della direzione in aprile, giornata gravida di promesse, nel silenzio della Rosa. Questa, nel frattempo, mieteva successi – qualcuno giungeva perfino a riconoscerlo – nell’avvio del programma di governo che sembrava tradurre qualcuna almeno delle sue ispirazioni in decisione legislativa. Un silenzio, dunque, assai rumoroso e percepito cosi da tanti. Un silenzio che stava a mostrare, forse, la preoccupazione di prender la parola per proporre l’unica cosa che era stata promessa e individuata come necessaria: subito, entro luglio, un processo costituente (o federativo, non cambiava moltissimo) per dar forma politica alla Rosa, per riempire di un alto politico fondamentale il dopo-elezioni, senza abbandonarsi, come e avvenuto soprattutto nell’area socialista, a recriminazioni, e da parte di alcuni alla rimessa in discussione di tutto.

Boselli ha resistito, bisogna dargliene atto, ma quello che era necessario, spingere sui tempi della decisione politica, questo no, non e avvenuto. Nemmeno una riunione di segreteria è stata di fatto possibile, come se ci fossero forze the tendevano alla disgregazione di fatto, senza the nemmeno si potesse trovare il luogo per frenarla. Ora, si sta andando oltre il tempo massimo,e la situazione va degradando. Da un luogo ormai relativamente appartato della battaglia politica come e quello che ho scelto, mi limito a indicare alcuni atti necessari per evitare quel “peggio” che sembra già in atto, con effetto valanga su tutto se non si pone la massima attenzione ai prossimi giorni. Si risolva velocemente la questione del capogruppo alla Camera, senza che il topolino in politichese rimuova la montagna che gli sta alle spalle.

Dico la verità: nessuno che sta appena fuori da tutto questo, sarebbe in grado di capire come possa avvenire che un fatto cosi evidentemente, clamorosamente limitato, possa decidere della sostanza di un progetto storico-politico di cui in tanti, anche avversari, avevano riconosciuto la valenza e il peso. Le classi dirigenti, tutte, verrebbero chiamate a render conto di ciò. Un fatto serio come la Rosa finirebbe in farsa. Si riunisca subito dopo la direzione, con all’ordine del giorno la convocazione in autunno di una assemblea per dar forma politica alla Rosa senza la quale l’Italia perderebbe un piccolo punto di riferimento, il punto di riferimento di una minoranza coraggiosa che aveva fatto perder le staffe al potente D’Alema e che si poneva con il ruolo proprio delle minoranze dinanzi al senso oppressivo e prepotente dato da mere maggioranze di potere.

Come scrisse Dumas figlio, “les majorites ne sont que la preuve de ce qui est”, mentre “les minorites sont souvent le germe de ce qui sera”: perché mai rinunciare a questo germe che può prefigurare, almeno per una parte, il futuro? Le uniche ragioni per farlo possono stare nel fatto che le forze principali della Rosa non credono più che il germe sia un germe e si ritirano per riattestarsi sulle posizioni di partenza. Che ci sia, insomma, qualcosa di più profondo di ciò che si dichiara esserci e che le reciproche incompatibilità, avvertite ormai come tali, spingano a decisioni estreme.

Ebbene, voglio dire qui con chiarezza ciò che penso di un simile atteggiamento. La questione socialista sparirebbe fra le bracia della potenza diessina che non ha mai fatto veramente i conti con la questione socialista nec nostro paese. Quest’ultima, o trova lo spazio per riproporre se stessa in autonomia, o sparisce. Nella Rosa questo processo si stava faticosamente avviando. La via di Bobo Craxi è una via suicida, i radicali tornerebbero al loro ruolo tradizionale, pieno di senso, ma in Italia oggi c’e bisogno di molto di più di esso. Il principio radicale diventa infatti un principio di governo del paese, e l’unita dei socialisti e dei radicali rafforza e rende concreto quel principio. Un punto possibile di svolta che non merita di finire in farsa. Si richiama, qui, una responsabilità politica di tutti. Lo può fare, forse, proprio chi, intendendo chiudere cosi, e definitivamente, la propria esperienza politica, ha qualche titolo per una riflessione oggettiva, spinozianamente appassionata ma non soggetta all’incerto turbinio delle passioni.

BIAGIO DE GIOVANNI