RADICALI ROMA

Impariamo a rispettarci, altrimenti moriremo

  La Rosa nel pugno potrà, oppure no, diventare “partito”? La disputa, appassionante oppure no, sull’argomento ci ha fatto dimenticare un piccolo particolare: che siamo, già oggi, un soggetto politico. O meglio, che lo siamo stati, almeno sino alle elezioni: dopo, l’assenza di iniziative esterne condivise e le divisioni interne, hanno appannato la nostra immagine: sino a portare molti, anche tra di noi, a ritenere che il progetto avesse, diciamo così, “esaurito la sua spinta propulsiva”. Per inciso, la stessa introduzione del tema della titolarità del simbolo è testimonianza implicita di questo modo di pensare. E’ un litigio sulla futura eredità. Tra l’altro del tutto inutile. Perché delle due l’una: o la Rosa avrà successo e allora si continuerà a usarla insieme; o si risolverà in un fallimento e allora il simbolo non varrà, politicamente, nulla.
 
 Come superare l’impasse? Davanti a noi, due possibili strade. Nella prima, prioritatia è la costruzione delle regole per trasformare il soggetto politico in partito: diciamo, la federazione con i suoi meccanismi di decisione, di partecipazione e di garanzia. Nella seconda, prioritario è il recupero dell’iniziativa politica e culturale in tutte le sedi e utilizzando tutti gli strumenti esistenti; qui e oggi. Nella prima, il sistema esistente, con tutte le sue diversità, è un’anomalia da superare. Nella seconda, è una grande ricchezza potenziale che deve trasformarsi pienamente in risorsa politica.
 
 Abbiamo sperimentato il primo percorso nell’ultima direzione. Dove, però, due giornate di appassionata discussione si sono tradotti in un nulla di fatto. In un contesto in cui l’osservatore spassionato ha avuto l’impressione che ciascuno dei due modelli proposti tendesse a ignorare l’altro: lo schema di Pannella è quello di un “partito radicale più grande”; quello di Boselli (anche se più aperto e innovatore) è  quello di un partito socialista con più garanzie per il “socio di minoranza”. La sensazione è, allora, che con le scorciatoie organizzative e solo con quelle non si vada da nessuna parte. Meglio, allora, partire dalla situazione esistente; assumendola sino in fondo. Da un soggetto che si esprime, e dovrebbe continuare ad esprimersi, come “rete” di diversi modi di fare politica: prese di posizione individuali e collettive; club e sezioni; iniziative per la libertà di ricerca e contro la pena di morte e partecipazione alle elezioni amministrative; esercizi di democrazia diretta e inserimento pieno nelle istituzioni e nelle regole della democrazia indiretta; momenti di antagonismo e momenti di mediazione.
 
 In questo sistema, il ruolo del gruppo dirigente nazionale è assolutamente essenziale. In un’ottica in cui la sua preoccupazione prima non dovrebbe essere quella di censurare!mediare!autorizzare; ma piuttosto quella di promuovere ogni possibile iniziativa e ogni possibile sinergia. Così la reazione corretta rispetto al protagonismo radicale non è quella di imbrigliarlo (?) o di assistervi passivamente con soddisfazione o con irritazione ma di assumerlo come elemento di una iniziativa collettiva diversa, più ricca e più utile in termini di costruzione di una identità comune. Così la reazione corretta di fronte al protagonismo socialista a livello locale non è quella di considerarlo con pregiudiziale sospetto autorizzandone l’esercizio solo in casi particolari e “sotto sorveglianza”, ma di farlo proprio a pieno titolo.
 
 ”Rosapugnista” a pieno titolo è lo scienziato ricercatore che dà il suo contributo all’interno della “Luca Coscioni”; ma anche il dirigente Sdi che intende operare, sotto lo stesso simbolo, a livello locale. Tutte e due hanno diritto alla stessa considerazione: la causa della ”democrazia civica” deve avere per noi lo stesso valore di quello della libertà di pensiero e di ricerca. Pensare altrimenti significherebbe, per inciso, sminuire l’importanza del ruolo dei socialisti, contribuendo a favorire quel “disimpegno Sdi” dalla Rosa che rimane il principale elemento di debolezza del nuovo soggetto politico. Mentre, al contrario, la nostra specifica presenza va in ogni modo rafforzata ed estesa ad altre figure e gruppi dell’universo socialista. Siamo una comunità di diversi. Che deve, per prima cosa imparare a conoscersi e rispettarsi; proprio per lavorare meglio insieme. Abbiamo un gruppo dirigente che, al di là degli scoramenti privati, afferma concordemente di credere nel progetto e di volere “andare avanti”. E, allora che vada avanti nella legittimazione piena di tutte le presenze e nella rivendicazione del proprio ruolo: riflessioni e proposte politiche collettive; promozione di iniziative sui grandi temi della vita civile e sociale del paese; creazione, a ogni livello, di ogni possibile sinergia. Così facendo, il passaggio da soggetto politico a partito sarà molto più facile. In caso contrario moriremo lentamente. E la nostra prolungata agonia non sarà affatto commovente; anzi vagamente comica.