Lo ha ammesso, lunedì scorso,lo stesso ministro Clini: Roma rischia di cadere, già nei prossimi mesi, in un’emergenza nella gestione dei rifiuti paragonabile a quella occorsa a Napoli, una vera e propria “bomba ecologica”.
La discarica di Malagrotta serve Roma da oltre trent’anni ed è tecnicamente “incapiente” (ovvero esaurita) già dallo scorso decennio. Si è creata, infatti, una collina di rifiuti, alta più di cinquanta metri ed estremamente problematica da gestire. A questo, si aggiunga che, fino ad oggi, vengono sversate a Malagrotta migliaia di tonnellate di rifiuti “tal quali”, in totale violazione delle normative europee e delle leggi italiane, che imporrebbero il trattamento dei rifiuti (realizzato solo in minima parte). Malagrotta andrebbe chiusa da molto tempo e negli anni si sono succedute le proroghe: l’ultima durerà fino a giugno. Ma sarà probabilmente da rinnovare, mentre l’Europa è arrivata ormai a un passo dalle sanzioni, sottoforma di salatissime multe.
Il piano dei rifiuti approvato recentemente dal Consiglio Regionale del Lazio e fortemente voluto dalla Polverini prevede di realizzare un sito definitivo,con tanto di inceneritori , nel comune di Fiumicino, in località Pizzo del Prete. Per realizzare l’impianto, però, saranno necessari, nella migliore delle ipotesi, due o tre anni. Nel frattempo, il piano prevede di chiudere Malagrotta e di servirsi di una serie di siti provvisori, una sorta di “mini” discariche con cui tappezzare la provincia di Roma.
La Presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, ha tentato di liberarsi della patata bollente, invocando la nomina di un commissario, ed è stata accontentata dal governo Berlusconi con la nomina del prefetto Giuseppe Pecoraro. Il commissario ha individuato due siti alternativi per realizzare discariche “temporanee” (le virgolette sono d’obbligo, perché si parla di tre anni almeno): uno situato a Corcolle (San Vittorino), l’altro a Quadro Alto, nel comune di Riano. Entrambi presentano, però, notevoli problematicità.
Il sito di Corcolle si trova a poche centinaia di metri da Villa Adriana, dichiarata patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Inoltre, la proprietà della cava in cui dovrebbe sorgere la discarica è legata a oscure società estere e nemmeno il prefetto Pecoraro è riuscito a fare chiarezza. Resta da chiedersi come si possa immaginare di collocare una discarica a qualche centinaio di metri da uno dei massimi monumenti nazionali.
Il sito di Riano, nella località Quadro Alto, è persino più assurdo: si tratta, infatti, di una cava di tufo, materiale noto per l’elevata permeabilità, sopra il quale nessuno penserebbe mai di interrare rifiuti, inquinanti per definizione. Inoltre, a differenza di quanto dichiarato nei documenti della Regione Lazio, la cava non è dismessa e dà lavoro a un centinaio di dipendenti. Il marchiano errore è stato reso possibile dalla superficialità dei responsabili della Regione: lo “studio tecnico” risulta essere un mero “copia e incolla”, basato sulla richiesta presentata alla Regione Lazio (e già respinta nel 2009) dalla Colari di Manlio Cerroni, monopolista da decenni nella gestione dei rifiuti romani e proprietario non solo della famigerata discarica di Malagrotta.
Risultano errate, nei pasticciati documenti regionali, anche le distanze dalle abitazioni, fissate per legge in minimo 700 metri dalle case sparse e 1500 metri dal centro abitato. Quello di Monteporcino è molto meno distante. Ma non finisce qui. I più recenti rilievi (carotaggi) hanno evidenziato la presenza di numerose falde acquifere: l’inquinamento da discarica (percolato) rischierebbe di essere trascinato per decine e decine di chilometri, il rischio è letale per gran parte della città.
Ad assicurarsi la proprietà del sito, arriva l’onnipresente Cerroni che si oppone ai decreti di esproprio, predisposti nel frattempo dal prefetto.
Inizia la rivolta civile dei cittadini: si formano comitati dai diversi colori politici, si tengono numerose manifestazioni e il sito di Quadro Alto viene permanentemente occupato dai coraggiosi rianesi, in difesa del loro territorio.
E’ intervenuta la magistratura: prima il TAR (di fronte al quale pendono tantissimi ricorsi, da parte di partiti, associazioni politiche e ambientaliste, imprenditori (fra cui i gestori della cava e il solito Cerroni) , comitati locali, privati cittadini; poi la Procura di Roma ha aperto un’inchiesta sui criteri di scelta dei siti e ha incaricato i carabinieri del Noe (fra cui il capitano “Ultimo”) di rilevare la distanza dei siti dalle abitazioni.
Come se non bastasse, nella Conferenza dei Servizi (che doveva dare il via libera alla discarica di Corcolle, essendo ancora in corso accertamenti su Riano) il presidente della provincia Zingaretti blocca tutto con il suo potere di veto.
In mezzo a questo bailamme, la Polverini perde completamente la bussola e arriva ad accusare la magistratura di interferenze, quasi fosse colpevoledi indagare: un atto gravissimo da parte della presidente di una Regione.
Interviene, finalmente, il Governo: il ministro Clini convoca per un vertice la Polverini, il sindaco di Roma Gianni Alemanno, il presidente della provincia Nicola Zingaretti e il prefetto Pecoraro. Le dichiarazioni ufficiali parlano di approfondimenti da effettuare su tutti i sette siti inizialmente individuati dalla Regione (e non solo sui due scelti da Pecoraro).
Le indiscrezioni giornalistiche riportano che la scelta sarebbe già stata fatta: Monti dell’Ortaccio, l’ennesimo sito di proprietà di Manlio Cerroni, l’unico a richiedere tempi di approntamento relativamente rapidi e tali da poter chiudere per tempo Malagrotta. Ma c’è una controindicazione: Malagrotta dista poche centinaia di metri da Monti dell’Ortaccio.
Che esito avrà, a questo punto, il Piano Rifiuti della Polverini? Se ne sono occupati i consiglieri regionali radicali alla Regione, Giuseppe Rossodivita e Rocco Berardo, coadiuvati da Massimiliano Iervolino (autore del libro-inchiesta “Con le mani nella monnezza”, ed. Reality Book). Il Piano contravviene, furbescamente, agli obblighi sulla raccolta differenziata e anche il sito che si vorrebbe definitivo, Pizzo del Prete, presenta numerose controindicazioni. Torneremo ad occuparcene presto, dalle colonne di questo giornale.