RADICALI ROMA

La commissione Amato, una deriva verso lo stato etico?

  Il presidente del consiglio probabilmente si è reso conto che uno dei fattori che possono più facilmente creare fratture insanabili nella sua esigua maggioranza è quello rappresentato dalle differenze sui temi eticamente sensibili. Per questo, dopo le proteste suscitate, anche all’interno dell’esecutivo, dalla decisione solitaria del ministro dell’università, Fabio Mussi, di togliere il veto italiano al finanziamento europeo della ricerca sulle staminali embrionali, Prodi ha deciso di incaricare il titolare dell’interno, Giuliano Amato, di coordinare un comitato interministeriale sulla bioetica.

 

 

 

 Si tratta, a prima vista, di una mossa difensiva, che punta a evitare che crescano le tendenze presenti nell’area estremista e in quella radicale della maggioranza, a riaprire una questione religiosa che sarebbe mortale per l’esecutivo. La toppa, però, potrebbe rivelarsi più pericolosa dello strappo che cerca di coprire. Portare all’interno del governo un confronto che tradizionalmente si svolge nelle aule parlamentari, tra i partiti e tra le diverse ispirazioni culturali, significa avvicinare la fiamma al combustibile. In Italia nessun governo ha assunto determinazioni proprie su temi di questa natura. Leggi come quella sul divorzio e sull’aborto, come d’altronde quella recente sulla fecondazione assistita, che ha segno culturale diverso, sono nate nel confronto parlamentare, senza un impegno diretto dell’esecutivo. Questo ha anche consentito che i referendum che si sono poi tenuti su queste materie non provocassero rotture interne agli esecutivi di coalizione, nonostante la diversa posizione assunta dai partiti alleati nell’esecutivo e divisi, tra loro e al loro interno, sui temi etici in discussione.

 

 

 

 L’esempio opposto è quello della Spagna, dove il governo socialista (e monocolore) di José Luis Rodriguez Zapatero ha proposto e fatto approvare leggi sull’estensione del matrimonio alle coppie dello stesso sesso, sull’estensione dell’aborto, sulla semplificazione del divorzio, che hanno suscitato una ferma ma per ora inefficace reazione da parte della chiesa. Anche se il fine immediato di Prodi, probabilmente, era quello di inibire tendenze zapateriste dei suoi ministri, l’esito potrebbe essere l’opposto, cioè l’impegno diretto del governo nelle opzioni etiche.

 

 

 

 Da un punto di vista più generale il corto circuito tra decisione politica e responsabilità etica rimanda a un problema fondamentale che riguarda addirittura la natura dello stato. È ovvio che allo stato spetti regolamentare una serie di materie sul piano pratico e normativo, per evitare l’anarchia. Se però le scelte necessarie a questo scopo vengono fatte risalire a una concezione morale di cui il governo si fa portatore, ci si avvicina pericolosamente al concetto di stato etico.

 

 

 

 Uno stato che si erga a giudice del bene e del male, del vizio e della «virtù» come amavano dire i giacobini, non è più uno stato laico, che deve invece garantire la libertà di coscienza dei cittadini e limitarsi a definire ciò che è legale da ciò che non lo è (e naturalmente non tutto ciò che è legale è morale). Può darsi che l’abilità manovriera di Amato, che non è certo un Saint Just, riesca a ingabbiare il confronto sui temi di bioetica in una ragnatela di distinzioni giuridiche che ottengano il risultato desiderato: il nulla di fatto. In ogni caso, tuttavia, l’aver sancito un ruolo diretto dell’esecutivo nelle scelte di carattere etico rappresenta un precedente che potrebbe dare frutti avvelenati in un futuro non troppo lontano.