RADICALI ROMA

LA GERARCHIA ECCLESIASTICA LEGGE I RISULTATI ELETTORALI: CATTOLICI I VINCENTI, CATTOLICI I PERDENTI. CHE FARE?

Questo, almeno, ciò che emerge dalla lettura “sinottica” di tre autorevoli fonti ecclesiastiche: Avvenire, Sir e Radio Vaticana. Preoccupazione che appare dettata, a tutta prima, da ramor patrio. Ma dietro la “litania” del Paese spaccato a metà (“col sistema bipolare poteva fose essere spaccato in tre?”, osserva Marco D’Eramo sul manifesto del 18/4) potrebbe rivelarsi un utile grimaldello per scompaginare i Poli, indebolire i settori più radicali della maggioranza che sostiene Prodi ed aprire la strada nel prossimo futuro, se non ad un rimescolamento delle coalizioni, almeno ad ampie convergenze politiche su temi ritenuti “di interesse nazionale”. Senza contare che in questo modo il centrodestra (o almeno alcune delle forze che lo compongono), sostenuto dalla gerarchia anche in questa tornata elettorale, uscito dalla “porta” elettorale potrebbe rientrare dalla finestra delle “larghe intese”.
Così il quotidiano dei vescovi Avvenire, sia martedì 11 che mercoledì 12, decideva di non dare ai suoi lettori la notizia della vittoria dell’Unione. Piuttosto di titolare, l’11/4: “Voto spaccato. Ma il Paese è uno”. E il giorno successivo, quando ormai ogni possibile incertezza sulla maggioranza dell’Unione sia alla Camera che al Senato era stata fugata: “La cautela che serve a tutti”. In entrambi i casi, l’editoriale in prima pagina era affidato a Marco Tarquinio. Nel suo primo intervento (“Scomodi segnali pretendono generosità”), Tarquinio scriveva che “nella situazione data, sarebbe un segnale incoraggiante e, per così dire, pacificante se il copione che si propone alle forze politiche nelle settimane a venire fosse interpretato con generosa sagacia ‘inclusiva’”. Fino a ventilare l’ipotesi che nei prossimi mesi “le attuali leadership dei due poli risultassero superate o, in ogni caso, compromesse”.
Il giorno dopo, in un pezzo dal titolo “Misurarsi con la ruvida realtà”, Tarquinio tornava ad invitare il mondo politico a “spogliarsi di ogni sicumera manicheistica, soprattutto di quelle ostentate in campagna elettorale” e accettare “di misurarsi con la realtà e non con la rappresentazione di essa che risulta più comoda e funzionale agli scopi della propria parte. Ed è un fatto – proseguiva Tarquinio – che, oggi, la realtà è grave; quella di un popolo che si divide radicalmente in due nel voto”. “Archiviando la stagione delle forzature interessate, dei vittimismi esasperati, dei catastrofismi d’occasione, delle scomuniche reciproche”, Tarquinio ribadiva la necessità di “includere”, piuttosto che “escludere”: “C’è da unire e riunire, curando ferite e ricucendo slabbrature, non sulla base di astratte dichiarazioni di volontà, ma con concreti sforzi di comprensione delle ragioni altrui”: “C’è da preservare il nostro Dna culturale, preparando per questa via un futuro di libertà, nella giustizia e nella solidarietà, per i nostri figli”. Tarquinio non dimentica però di lanciare una scialuppa di salvataggio al centrodestra sconfitto, perché, scrive, “la verifica dei dati elettorali e l’esito degli accertamenti sulle schede contestate, soprattutto in considerazione dell’esiguo margine di vantaggio dell’Unione alla Camera, potrebbe anche riservare sorprese a vantaggio di Berlusconi e dei suoi alleati”.

Centro di gravità permanente
Sempre su Avvenire, l’11/4 Giorgio Ferrari (“Capezzone peso mosca. Addio radicalismo forcaiolo”) sottolineava che l’alta affluenza alle urne significava che la campagna astensionista sui referendum per la fecondazione assistita non era stata “diseducativa” per gli elettori, come pure in molti avevano affermato. Ferrari rassicurava poi i lettori sulla inconsistenza politica della Rosa nel Pugno dopo “un risultato elettorale inversamente proporzionale alla visibilità massmediatica ottenuta a colpi di forcone e parimenti sostenuta e garantita dai grandi giornali”. Risultato: è stato sconfitto “il radicalismo forcaiolo” e l'”anticlericalismo di maniera”.
Lo scenario del “pareggio” e di un Paese ingovernabile caratterizzato dalla scontro di due fazioni “l’un contro l’altro armate” (anche se nessun commentatore cattolico si interroga sul fatto che i leader che avrebbero “spaccato” il Paese sono tutti cattolici: Prodi, Berlusconi, Rutelli, Fini, Casini), era stato del resto prefigurato già il 10/4, ancora prima di conoscere i risultati definitivi delle elezioni, da mons. Rino Fisichella, vescovo ausiliare del card. Ruini, rettore dell’Università Lateranense e amico dichiarato dei teo-con, nel corso di un incontro di presentazione dell’ultima enciclica del Papa nella parrocchia di San Giovanni Evangelista a Roma. In questo scenario, aveva affermato Fisichella, “i cristiani e la Chiesa hanno una grande responsabilità”: “Oggi è tempo di superare i conflitti” e di “trovare un accordo”.
Così il Sir, l’agenzia dei vescovi, l’11 mattina, nella “nota settimanale”, scriveva che “salvo la verifica in corso sulle schede annullate o contestate”, l’Unione aveva la maggioranza alla Camera, mentre al Senato c’era un “sostanziale pareggio”. Insomma, nessuna vittoria dell’Unione; e comunque, analizzando i risultati elettorali nel dettaglio, il Sir rimarcava che la lista dell’Ulivo era “al di sotto della soglia del 33% indicata come quella di un buon successo dal suo fondatore, mentre è evidente il modesto risultato della Rosa-nel-pugno dagli accesi toni laicisti”. Un contesto che apre la strada alle larghe intese: “Per tutti è tempo di senso di responsabilità nei confronti del Paese, dei suoi valori profondi, della sua identità. Responsabilità fa rima con governabilità, che è il vero nodo”. “Un sistema politico anche conflittuale deve poggiare su un tessuto condiviso di valori. Sono quei principi ‘non negoziabili’ della famiglia (quella dell’articolo 29 della Costituzione, ovviamente), della vita, della libertà educativa”. Come Avvenire, anche il Sir si rallegra per l’alta affluenza alle urne e parla, con chiaro riferimento ai referendum del 2005, di un “elettorato ancora una volta refrattario ad essere eterodiretto da veri o presunti maestri di pensiero o di opinione”.
Sempre a proposito dei referendum, vero spartiacque per le strategie politiche della gerarchia ecclesiastica, è significativo che Radio Vaticana (11/4) abbia lasciato il compito di analizzare l’esito del voto a Paola Binetti e Luisa Santolini, due autorevoli esponenti del Comitato “Scienza e Vita” elette l’una nelle liste della Margherita e l’altra con l’Udc (altrettanto significativo è il titolo dato al servizio: “Il centrosinistra canta vittoria, ma la Casa delle Libertà chiede di verificare le schede nulle alla Camera”).
Binetti parla di un voto che conferma la vittoria di “posizioni prevalentemente di tipo centristico, sia a destra, sia a sinistra”. Santolini, meno incline allo spirito bipartisan della collega, sottolinea che la Margherita “è calata nei voti”, ma questo, assicura, “mi dispiace molto, perché invece è salita Rifondazione e la Rosa nel pugno ha preso meno di quanto si dicesse all’inizio ma comunque il 2,5% non è proprio poco”. La paura della Santolini è che con una sinistra di questo tipo, “i voti cattolici si disperdano e non ce la facciano a fermare questa ondata laicista: mi auguro che davvero il Paese sia governabile”.
Il giorno dopo (13/4) la Radio dà ampio risalto alla richiesta di Berlusconi di ricontrollare “600 mila” schede nulle, e rilancia la notizia degli scatoloni elettorali ritrovati in strada a Roma, nel quartiere Tuscolano. Chiude il cerchio, un’intervista a padre Michele Simone. Il gesuita, vicedirettore di Civiltà Cattolica, non se la sente di avallare l’ipotesi berlusconiana della Grosse Koalition, (la considera un’extrema ratio); afferma però che “i cattolici sono sempre impegnati a trovare le cose che uniscono piuttosto che quelle che dividono, a gettare ponti, che non significa fare compromessi ma guardare al bene comune del Paese”. (valerio gigante)