Da diversi decenni i radicali denunciano il mancato rispetto dello stato di diritto nel nostro Paese. Quello che sta avvenendo in Regione Lazio non è altro che un ulteriore capitolo (da scrivere!) della “peste italiana”, documento che, prima delle ultime elezioni europee, i radicali hanno voluto redigere per denunciare lo sfascio sessantennale della nostra democrazia. Da circa due mesi la Polverini è stata proclamata Presidente della Regione Lazio, e oggi – si può già affermare senza paura di essere smentiti – c’è in atto una brusca accelerazione rispetto al depauperamento delle funzioni statutarie di un consiglio regionale che, in questo momento di forte crisi economica e sociale, non viene minimamente messo in condizione di dare il proprio contributo. La manovra varata dal Governo, i dodici decreti commissariali sulla sanità, la situazione allarmante sui rifiuti e l’annoso problema dei trasporti, sono solo alcuni degli argomenti che, nel rispetto della separazione tra il potere legislativo e quello esecutivo, richiederebbero un confronto serrato tra maggioranza e opposizione. Si continua invece a percorrere una strada storicamente bipartisan che prevede l’annullamento delle funzioni dell’eletto.
Sulla sanità, materia che assorbendo più del 70% del bilancio regionale è considerata la più importante delega affidata alle regioni, il nostro Consiglio non ha nessun potere. Il regime commissariale vigente nel Lazio non consente agli eletti la presentazione e la discussione di proposte di legge, il piano di rientro in materia sanitaria non è soggetto a nessun voto, i cittadini non possono intervenire con gli strumenti di democrazia diretta e le associazioni di categoria non possono contribuire con le loro istanze. Non voglio entrare nel merito dell’appropriatezza dello strumento commissariale, ma è fuor di dubbio che vedere un Consiglio regionale impoverito dei propri poteri, rispetto alla delega più importante, dovrebbe portarci quantomeno ad una seria riflessione, tenendo bene in mente quanto costa al cittadino la macchina burocratico-amministrativa del Consiglio regionale. Ma c’è di più: sui dodici decreti commissariali firmati dalla Polverini, agli eletti non è stato riconosciuto neanche il diritto di parola, infatti la Presidente non ha ritenuto necessario illustrarli in Aula. Fermo restando quanto detto sopra, è davvero paradossale non convocare almeno un consiglio straordinario sulla sanità, utile sia per ascoltare le proposte di maggioranza e opposizione, sia per rendere pubbliche e trasparenti le decisioni contenute all’interno dei provvedimenti commissariali. Purtroppo le scelte sono state unilaterali, il dibattito istituzionale non c’è stato ed i cittadini subiranno queste norme senza esserne correttamente informati.
Come se tutto ciò non bastasse ci si è messo di mezzo anche il Tar. Alla perdita dei poteri del Consiglio regionale, dovuta al commissariamento sulla sanità, ora bisogna aggiungere anche l’incertezza sull’effettivo numero dei consiglieri regionali. Infatti la decisione del Tribunale Amministrativo Regionale sulla materia, prevista per il 10 giugno, è stata rinviata al 16 settembre 2010. Questa irresolutezza ha come conseguenza un ulteriore immobilismo dell’assemblea degli eletti, in quanto le decisioni eventualmente assunte potrebbero essere inficiate dalla presenza di tre consiglieri di troppo e diventare oggetto di eventuali ricorsi, che potrebbero annullare le leggi approvate.
E’ da almeno quindici anni che le assemblee elettive di comuni, provincie e regioni hanno perso il loro potere di indirizzo e di controllo, ormai la vita di un ente locale è decisa dalla giunta. Il disfacimento delle funzioni degli eletti è imputabile a entrambi gli schieramenti politici, ed ha come grave conseguenza – ma non unica – la mancata crescita di una classe dirigente degna di questo nome. Tutto questo è ancora più evidente se teniamo bene in mente quello che sta accadendo in Regione Lazio a due mesi dall’insediamento della Polverini: in questo momento di forte crisi economica, in cui da quanto si apprende dovrebbero essere proprio le regioni a pagare il prezzo più alto, il consiglio regionale si è riunito solo un paio di volte, quando piuttosto sarebbe necessaria una convocazione quasi ad oltranza. Ci troviamo invece a dover constatare che l’assemblea viene ulteriormente espropriata delle proprie funzioni. Questo avviene mentre il dibattito all’interno del centrodestra è incentrato su come rendere possibile l’ingresso dell’Udc nella giunta, e l’opposizione si riunisce unicamente per trovare l’accordo sulle presidenze delle commissioni che gli spettano, ritenendo probabilmente inutili gli incontri atti a discutere su come rendere più efficace ed unitaria la propria azione politica.
La Regione Lazio ha bisogno di un nuovo statuto che innanzitutto preveda la non contemporaneità dell’elezione del Presidente e dei consiglieri regionali. Andrebbero inoltre rinforzati i poteri delle opposizioni e resi reali quelli degli organi di garanzia che, ad oggi, esistono solo sulla carta. Molto probabilmente il ruolo delle assemblee elettive è poco sentito dall’opinione pubblica, ma a mio avviso è urgente, a partire dal Lazio, introdurre questo tema all’interno dell’agenda politica. Il federalismo fiscale è all’ordine del giorno nel dibattito politico nazionale, ma senza un vero federalismo politico anche la giusta riforma fiscale corre il rischio di essere inappropriata. Per dare un vero potere alle regioni (e ai territori!) è urgente intervenire sulle materie condivise, predisporre statuti regionali che prevedano la netta separazione tra il potere legislativo e quello esecutivo, e riformare in senso maggioritario la legge elettorale. Questa è la sfida per un vero federalismo!
*(testo integrale dell’articolo pubblicato mercoledì 16 giugno su Cinque Giorni, free press distribuito a Roma e Provincia)