Si è diffusa da tempo in Italia l’idea che l’ostacolo principale al risanamento definitivo dei conti pubblici sia l’elevato débito accumulato negli anni Ottanta. Per questo motivo vengono periodicamente formulate ipotesi di operazioni straordinarie di dismissione del patrimonio pubblico. Ma siamo sicuri che il debito pubblico sia il vero problema dell’Italia? Cosa succederebbe se questo debito venisse ridotto, d’un tratto, di alcune centinaia di miliardi di euro? Proviamo ad immaginarlo.
Supponiamo che nei prossimi giorni vengano compiuti due miracoli. Il primo è che lo Stato riesca a vendere circa 400 miliardi di euro di patrimonio. Si tratta in effetti di un miracolo perché una dismissione di tale ammontare richiederebbe non solo la cessione di tutte le partecipazioni in aziende quotate e non quotate, cioè non solo Eni, Enel, Finmeccanica e Alitalia ma anche Rai, Poste, Ferrovie, Sace, Anas e altre (il cui valore complessivo è stimato a circa 100 miliardi), ma anche del patrimonio immobiliare, gran parte del quale di proprietà di enti locali. Il secondo miracolo è che i proventi di tali dismissioni vengano interamente destinati al riacquisto di titoli di Stato, riducendo il debito pubblico dall’attuale 106% del prodotto lordo a circa l’80%.
Quale sarebbe l’impatto di questi due miracoli?
L’effetto immediato sarebbe di ridurre il pagamento degli interessi sul debito, di circa l’l% del Pii all’anno. Per usare un termine alla moda, si creerebbe un «tesoretto» di circa 16 miliardi di euro. Come verrebbe usato questo «tesoretto»?
Per rispondere a questa domanda può essere utile ricordare cosa è stato fatto finora con i cosiddetti «tesoretti». Prendiamo tre esempi.
Il primo è il tesoretto prodotto dalla lotta all’evasione. Dove sono andati gli oltre 10 miliardi di euro di maggiori entrate fiscali ottenuti nel 2007? Non a ridurre il debito e il disavanzo, il che avrebbe accelerato il risanamento, ma in larga parte ad incrementare la spesa pubblica. Il disavanzo è addirittura aumentato rispetto all’obiettivo posto qualche mese prima.
Il secondo tesoretto è quello ottenuto grazie all’euro e alla connessa riduzione dei tassi d’interesse: tra il decennio precedente e quello successivo all’entrata nell’euro i tassi d’interesse a lungo termine dell’Italia sono scesi in media da oltre il 10% al 4,5%. Di conseguenza, dal 1998 al 2007 l’onere sul debito pubblico è sceso di oltre il 2% del Pil, in pratica un tesoretto di oltre 30 miliardi di euro, il doppio rispetto a quello che si potrebbe ottenere con i due miracoli illustrati prima.
Come è stato usato quel tesoretto? Come il precedente, finanziando maggior spesa. In effetti, dal 1998 al 2007 la spesa primaria, cioè al netto degli interessi sul debito, è aumentata di oltre 2 punti percentuali rispetto al Pii, più che compensando la riduzione dell’onere sul debito. La spesa primaria dell’Italia ha superato la media dell’area dell’euro. Questo è il motivo per cui il risanamento si è arrestato e la pressione fiscale non è stata ridotta in modo significativo.
Il terzo esempio sono le privatizzazioni e le altre vendite di patrimonio effettuate negli ultimi 15 anni, pari a circa il 15% del Pil. Che seguito hanno avuto quelle dismissioni sul processo di aggiustamento dei conti pubblici? La risposta si trova nelle Considerazioni Finali della Banca d’Italia del 31 maggio di quest’anno (pag. 13): «Senza vendite di attività e operazioni di ristrutturazione del passivo, oggi il rapporto tra debito e prodotto sarebbe circa lo stesso del 1994», ossia intorno al 120% del Pil.
L’esperienza sembra confermare che quando in Italia si trova un «tesoretto» lo si spende velocemente. Pertanto, a meno di una forte discontinuità con il passato, il risparmio ottenuto da operazioni straordinarie sul debito pubblico rischia di essere interamente vanificato da nuovi aumenti di spesa. Il debito si ridurrebbe una tantum ma rimarrebbe il rischio di un nuovo aumento al primo rallentamento della congiuntura, come è avvenuto di recente.
In sintesi, se si vuole veramente risanare le finanze pubbliche italiane e diminuire in modo credibile la pressione fiscale, bisogna cominciare col ridurre la spesa pubblica. Così è stato fatto negli altri Paesi. Solo dopo si può pensare a fare i miracoli.