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La ricerca? Un settore di eccellenza Ancora grande il divario Nord-Sud

Più del 90% dei prodotti giudicati in maniera positiva, il sistema dei brevetti che incomincia a farsi strada nelle università italiane e un divario – quello tra Nord e Sud – che anche quando si parla di articoli e progetti accademici si fa sempre più pesante. È questa la fotografia della ricerca italiana scattata dal Civr (il Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca) nel suo primo rapporto sulla produzione scientifica del nostro Paese, presentato nei giorni scorsi presso la sede del MIUR. Un’istantanea che getta più luci che ombre sul sistema della ricerca italiana da sempre etichettata come allo sbando e in balia di risorse che non ci sono, e che invece – secondo quanto sostiene il Civr – gode di ottima salute, tanto da meritare la promozione a pieni voti della quasi totalità dei progetti esaminati.

Un risultato più che positivo per la maggior parte delle università italiane, e che sarà destinato a provocare una forte scossa di assestamento al sistema di ripartizione dei fondi che il ministero dell’Università, dell’Istruzione e della Ricerca versa ogni anno nelle casse degli atenei italiani.

I risultati. Sotto la lente degli esperti del Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca sono finiti gran parte dei progetti portati avanti nel triennio 2001-2003 da tutte le università italiane e dai più grandi enti di ricerca, sia pubblici che privati. In totale sono stati esaminati 17.329 tra brevetti, progetti, articoli e pubblicazioni, che hanno coinvolto complessivamente più di 64mila ricercatori. Dopo un anno di lavoro gli esperti del Civr hanno valutato il 30% dei prodotti come “eccellenti”, il 46% come “buoni” e il 19% “accettabili”. Solo il restante 5% è stato bocciato e giudicato come “limitato” dai 6812 esperti suddivisi in 20 panel di valutazione per altrettante aree tematiche. “La ricerca italiana – ha detto il ministro Moratti commentando con una nota il lavoro del Comitato – supera l’esame della valutazione, mostrando risultati di qualità. L’Italia compie così un grande balzo in avanti perché la valutazione delle ricerca, argomento ostico fino a pochi anni fa, entra a pieno titolo tra le cose positive realizzate dal governo nel corso della legislatura che si sta concludendo”.

Effetto sopravvalutazione. Secondo qualcuno però, nonostante i grandi passi in avanti, quando si parla di ricerca e valutazione non è tutto oro quel che luccica. L’indagine condotta dal Civr, infatti, ha sì raccolto la disponibilità di tutte e 77 le università italiane a farsi valutare, ma ha lasciato ai singoli atenei la libertà di scegliere quali progetti presentare alle commissioni esaminatrici. Appare improbabile dunque che un ateneo abbia deciso autonomamente di presentare un progetto di scarsa rilevanza, contribuendo così al raggiungimento dell’ottimo risultato finale. Accuse che il professor Franco Cuccurullo, presidente del Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca e rettore dell’Università di Chieti e Pescara, non esita a rimandare al mittente. “Il nostro obiettivo non era certo quello di valutare tutta la produzione scientifica delle università italiane – si difende – ma di riuscire a valutare i progetti di tutti gli atenei. Ecco perché il nostro lavoro, alla fine, evidenzia i loro punti di forza, le eccellenze di ogni università senza punire quelle realtà dove la ricerca, seppur in proporzione alle risorse a disposizione, ha ancora tanta strada da fare”.

Una questione di fondi. Anche senza punire però qualche effetto il rapporto del Civr lo avrà – e come! – sul sistema accademico italiano. In primo luogo sulla ripartizione del fondo di finanziamento ordinario (Ffo) che ogni anno il Miur destina agli atenei italiani anche sulla base della valutazione della ricerca. “Questi dati – ha confermato Letizia Moratti – permetteranno al ministero di fare di più e meglio in termini di gestione delle risorse finanziarie ed umane, che saranno canalizzate in maniera più mirata e oculata rispetto al passato”. Il che significa che gli atenei con una valutazione positiva avranno una posizione privilegiata nella prossima distribuzione dei fondi ministeriali, mentre quelli giudicati in modo non positivo vedranno attenuarsi il flusso di risorse fino a questo momento riservategli. “Perché continuare a finanziare un’università o un ente di ricerca se questa ha un’area che non funziona bene? – ha spiegato il viceministro Guido Possa alla presentazione del Rapporto -. Al contrario va favorita la premialità, che alla fine produce la migliore utilizzazione delle risorse. Inoltre i dati sulla valutazione aiuteranno anche gli studenti a scegliere le facoltà migliori”.

Maglia nera al Sud. Ma quali sono gli atenei e i centri di ricerca bocciati dal Civr? Fare una classifica è praticamente impossibile, tanto diversi ed eterogenei sono i progetti e le aree tematiche che sono state prese in esame. Ottimi però sono stati i risultati de “La Sapienza” di Roma, delll’università di Padova, di Milano “Statale”, Bologna e della “Federico II” di Napoli. Un dato però appare chiaro: ancora una volta le università del Nord superano e di molto quelle del Sud. “Purtroppo gli atenei del Meridione sono spesso in fondo alle graduatorie – ha ammesso Possa -. Una realtà dolorosa che dipende da molti fattori: l’alta qualità di certi progetti si raggiunge dopo molto tempo mentre molte delle università del Sud hanno una data di nascita relativamente recente. Inoltre al Nord molti atenei, anche in virtù della loro più forte anzianità, hanno maggiori dotazioni di ricerca e sono preferite da migliori docenti e ricercatori”.

Più brevetti, meno soldi. In ogni caso a sostegno della tesi del rilancio del sistema della ricerca italiana emerge anche il dato, confermato dal rapporto del Civr, che nel triennio 2001-2003 in termini di brevetti depositati le università hanno superato del doppio gli enti di ricerca, indicando così un crescente interesse da parte degli atenei italiani alle applicazioni della ricerca. Peccato però che da questi brevetti le università abbiano guadagnato poco o nulla, visto che i ricavi derivanti dalla loro vendita non hanno superato quasi mai i costi di deposito e gestione. “È vero, gli atenei italiani negli ultimi anni producono più brevetti ma il ricavo resta sempre molto basso – conferma il professor Cuccurullo -. In questo campo però siamo appena agli inizi e non abbiamo un sistema di produzione consistente sotto il profilo numerico. Sotto questo aspetto c’è ancora molto da lavorare”.