RADICALI ROMA

La spesa corre e i furbi vincono

 

Il nostro Stato spende il 48,2% del Pil, quello inglese quattro punti di meno. E tuttavia quando si tratta di aiutare le famiglie è molto meno efficace. In Gran Bretagna prima dell’intervento di varie forme di assistenza pubblica, le famiglie a rischio di povertà sono 26 su 100: l’intervento dello Stato le riduce a 18. In Italia le famiglie vicine alla soglia di povertà sono un po’ meno, 22 anziché 26 (dati Eurostat, 2003), ma lo Stato riesce ad aiutarne solo 3. Anche la Francia fa meglio di noi: sposta 6 famiglie su 26.
In Svezia lo Stato spende di più: il 56% del pil contro il 48,2% in Italia. Ma in Svezia lavorano 8 donne su 10, in Italia meno di 6. Se non ci sono i nidi, se mancano le residenze per anziani, se negli ospedali sono i parenti dei malati a dover supplire alla carenza di infermieri, non è sorprendente che le nostre donne abbiano poco tempo per «lavorare». E poiché più donne lavorano, lo Stato riesce a finanziare uno straordinario livello di spesa con aliquote relativamente basse. In una famiglia in cui lavorino in due l’aliquota media di una donna che guadagni quanto un uomo (in regime di tassazione separata) è 28% in Svezia, 39 in Italia (dati Ocse, 2001).
Dove finisce allora tutto il denaro che spendono le nostre amministrazioni pubbliche, se non aiuta i poveri, né le donne che vorrebbero lavorare? Contando i dipendenti pubblici si scopre che quelli che lavorano negli ospedali, nella polizia, nelle forze armate, nell’amministrazione della giustizia, (incluse le carceri), nelle scuole e nell’università sono solo 76 ogni 100. Gli altri 24 sono impiegati altrove, in nessuna di queste attività essenziali.
Romano Prodi è sorpreso per l’inusuale lunghezza della vertenza dei giornalisti per il rinnovo del contratto. Anziché sorprendersi dovrebbe fare una semplice riflessione. Se lo Stato continua a finanziare i giornali (anche quello su cui scrivo, che non ha certo bisogno di aiuti di Stato) è comprensibile che i giornalisti lottino duramente. Perché gli aiuti pubblici dovrebbero finire nelle tasche degli azionisti anziché nelle loro? Vi assicuro che se la Finanziaria avesse avuto il coraggio di cancellare gli aiuti (e le 150 persone che a Palazzo Chigi li amministrano) la vertenza non durerebbe tanto a lungo.
All’Arsenale di Venezia «lavorano» molti marinai: il luogo è bello, il circolo ufficiali fa invidia ad un club londinese, ma il ministro della Difesa avrà la cortesia di spiegarci perché gli ozii di quei marinai debbano essere a carico dei contribuenti?
La vera priorità della «Fase 2» di questo governo è l’eliminazione dell’inefficienza e delle situazioni di vero e proprio parassitismo che si annidano nelle amministrazioni pubbliche. Una battaglia in salita, perché è difficile fare il muso duro dopo aver approvato una Legge finanziaria che per accontentare un po’ tutti aumenta la spesa pubblica di circa 7 miliardi di euro (si vedano i conti di Tito Boeri e Pietro Garibaldi su la voce.info). E perché è difficile controllare la spesa se, prima ancora di sedersi a discutere il nuovo contratto con i sindacati del pubblico impiego, si mette sul tavolo abbastanza denaro per aumenti delle retribuzioni pari al 5% (dopo cinque anni in cui le retribuzioni dei pubblici dipendenti sono cresciute il doppio rispetto a quelle dei dipendenti privati).
«Se vogliamo uno Stato efficiente non possiamo assumere ope legis tutti i precari, ci vogliono criteri di selezione forti» dice il ministro Nicolais e aggiunge: «Ma le valutazioni non riguarderanno il singolo, bensì la struttura». Così furbi e fannulloni continueranno a farla franca a spese dei contribuenti e dei loro colleghi onesti.