RADICALI ROMA

La spina nel pugno.

  Loro, dopo le elezioni, dovranno ridare i soldi a George Soros, pontefice massimo della finanza laica e transnazionale. Ma per i radicali italiani non sarà un problema restituire quel milione e mezzo di euro anticipato dai filantropo ungherese per unirsi civilmente con i socialisti di Boselli. Anche se la Rosa nel pugno dovesse fermarsi alla prudente previsione del 3 per cento, a
coprire il debito della campagna in corso basterebbero i rimborsi fissati dalla legge elettorale. Il vero interrogativo è su un altro debito: quello che sta contraendo l’Unione dì Romano Prodi con
i radicali per ipotecare la vittoria del 9 aprile. E il mutuo che dovrà essere acceso per garantirsi cinque anni dì sostegno da una coppia dì battitori liberi come Emma Bonino e Marco Pannella. lì
bello è che le prime pietre di divisione di domani non saranno quelle che creano scandalo oggi e agitano i rapporti con le gerarchie ecclesiastiche. Ovvero temi come i Pacs e l’entanasia. No. Le forche caudine da passare già entro l’estate saranno una grande amnistia e le primarie per il Quirinale. Per il film della successione di Ciampi il titolo è pronto: ‘Emma for president”. Per le altre spine della Rosa, dalla posizione sull’l’Irak alle battaglie ultraliberiste, ci sarà tempo. Ma una cosa è certa:Prodi, Fassino e Rutelli dovranno imparare in fretta a tessere accordi con un gruppo parlamentare che più variopinto non si può. Una pattuglia che metteva insieme
combattenti radicali come Marco Cappato e Rita Berdini. Vecchi “garofani come Salvo Andò e
Ugo Intini. Ex diessini con il dente avvelenato come Lanfranco Turci e Salvatore Buglio.

Un brutto sgambetto alle ambizioni della strana coppia Bonino—Boselli. in realtà, è già stato consumato. E non e quello maturato nel ceritro-desita con la candidatura dell’ex radicale Benedetto Della Vedova, che alla fine si è portato dietro quattro amici e ha ottenuto solo
un posto sicuro per sé in Forza Italia, ma quelle liste spuntate in mezza Italia con il nome I socialisti. Sono liste civetta che hanno trovato protezione sotto l’ala dell’Unione e hanno scatenato l’ira dei radicali, i quali accusano i di aver raccolto le firme necessarie all’operazione di disturbo.

Civette (e coltellate) a parte, anche Romano Prodi si è reso conto che i Voti radicali sono preziosissimì perché non scontati. “Tornerà a votare gente che non ci andava da anni e intercetteremo una quota di delusi da Forza Italia” dice la Bernardini, tesoriere dei radicali e capomacchina insieme a Marco Cappato. Previsioni con cifre non ne vuol fare, però conta sull’effetto-laicità: “Le polemiche contro di noi da parte delle gerarchie ecclesiastiche e di qualche candidato ultracattolico ci danno una ribalta insperata”. E con mossa ben studiata, in Piemonte è stato candidato in posizione sicura un ginecologo d’assalto come Silvio Viale, profeta della pillola abortiva RU486. Facile immaginare quanto andrà d’accordo con futuri colleghi di centro-sinistra come Paola Binetti e Luigi Bobba, i due candidati della Margherita che hanno scritto alle parrocchie italiane per garantire che non ci saranno “derive laiciste” nell’Unione. O con il re dei trapianti di fegato Ignazio Marino, che corre nelle liste della
Quercia e non ci sta a farsi dare dell’integralista da un guru dei radicali come lo scienziato Carlo Flamigni. Per il resto, i radicali doc che dovrebbero arrivare in Parlamento sono almeno otto: Pannella, Bonino, Cappato, Bernardini, Maria Antonietta Farina (la vedova di Luca Coscioni, Gianfranco Dell’Alba, Sergio D’Elia e Bruno Mellano. Che faranno? La loro agenda è già pronta. Metteranno subito in imbarazzo i capipartito dell’Unione chiedendo ìì sostituire con
le primarie quella tradizionale commedia degli inganni fratricidi che è la corsa al Quirinale. E giocheranno fino in fondo una carta pesante come quella della Bonino: ex commissario europeo, grande esperienza politica, patrimonio di stima personale trasversale ai due
schieramenti. Prima donna sul Colle più alto. Già questo, per un paese come l’Italia, sarebbe una bomba. Lei non ne fa una questione personale, ma di principio. Di fronte alle prime critiche del fronte cattolico risponde: “Sono una persona a modo, di sicuro noti sono indegna del Quirinale”.

La seconda carta riguarda la giustizia ed è un altro petardo buttato nel cortile di Margherita e Ds. Pannella vuole l’avvocato Giuliano Pisapia, di Rifondazione, come Guardasigilli. Un garantista perfetto per fare da sponda alla loro battaglia per l’amnistia. E dopo l’atto di clelenza, i radicali chiederanno subito la separazione delle carriere tra pm e giudici e l’introduzione dì una vera responsabilità civile dei magistrati. Insomma, ci sarà da divertirsi a vedere l’ex terrorista di Prima Linea Sergio D’Elia, che dopo una lunga detenzione ha dedicato tutta la propria vita ai diritti dei detenuti, sedere a Montecitorio sugli stessi banchi di Luciano
Violante e Massimo Brutti. Per non parlare degli imbarazzi che già s’intravedono nel rapporto con le toghe.

E sarà sempre nei primi mesi di un eventuale governo Prodi che dai radicali arriveranno altre richieste choc: la privatizzazione della Rai e una seria legge sul conflitto d’interessi. Perché
ormai, come dice la Bonino, “anche quando suona il citofono c’è il rischio che sia Berlusconi”. Insomma, anticipa la Bernardini, “se Ds e Margherita pensano semplicemente di sedersi nel cda Rai al posto di Alleanza nazionale e Forza Italia, allora non hanno capito nulla”.

Su politica estera ed economia, invece si giocherà più di rimessa. Ma con posizioni egualmente nette. Così, quando la sinistra radicale esigerà un ritiro immediato dall’Iraq, i seguaci di Pannella tireranno il freno, convinti che gli iracheni non possano essere abbandonati su due piedi. E a qualunque sparata anti-americana o anti-israeliana “del genere Diliberto”, verrà risposto impugnando le bandiere a stelle e strisce e con la stella di Davide. “Perché non
possiamo regalare a Berlusconi il rapporto con gli USA”, come dice l’ex operaio Salvatore Buglio. Se invece si proverà a far secca la cosiddetta legge Biagi sulla flessibilità, i radicali chiederanno ancora più flessibilità (mitigata da un vero sostegno economico a chi è momentaneamente senza lavoro) e la liberalizzazione delle professioni. Problemi di coerenza per i transfughi della Quercia? Capezzone lancia un’inedita linea “Blair-Zapatero-Fortuna” (Loris, il primo socialista con tessera radicale) per spiegare che se Turci, Buglio e
De Giovanni hanno saltato il fosso “è per tenere insieme modernizzazione economica e diritti civili”. Certo, ma rileggere oggi le loro secche prese di posizione contro la commistione tra DS, Unipol e “furbetti del quartierino” fa capire che non perdoneranno alcuna debolezza futura agli ex compagni.

Per evitare che questa Babele di posizioni porti il centro-sinistra a una rapida crisi, i leader dell’Unione fanno affidamento su due fattori: l’ecumenismo di Prodi e la componente socialista della Rosa. Pochi lo sanno, ma il Professore intrattiene da vent’anni un ottimo rapporto personale con Pannella. Questo spiega perché non attacchi mai i radicali e perché sia convinto che alla fine, parlando a quartr’occhi con “l’amico Marco”, sì potranno risolvere parecchi problemi. Non meno importante il fronte socialista, considerato dall’Unione più “malleabile”. Certo, sui manifesti ci vanno le mani intrecciate di Emma Bonino e di Enrico Bosellì. Ma dietro dì loro, la pattuglia socialista ha la stessa consistenza di quella radicale. Solo che parlano
meno. Così, un seggio blindato toccherà ai depurati uscenti Enrico Buemi, Roberto Villetti e Giacomo Mancini. ldem per tre vecchie glorie dei governi di pentapartito come Salvo Andò, Ugo Intini e Claudio Signorile, quello della famosa “sinistra ferroviari
a”. E poi un posto sicuro toccherà all’ex ministro prodiano Angelo Piazza. Gente che con l’ala radicale potrà torse
condividere garantismo e laicità, ma che difficilmente butterebbe alle ortiche la grande “rentree”, poltrone comprese, per lo sfizio di abolire i notai o di avere 55 forme dì precariato. Signorile, per dirne uno, anziché candidarsi nella sua Puglia ha scelto di correre per un
posto al Senato in Sicilia. E ai comizi sta promettendo uno sviluppo basato sulle grandi infrastrutture”, ponte sullo Stretto compreso. Per mantenere la promessa non potrà certo schiantare il governo Prodi alla prima curva.