RADICALI ROMA

La “statalizzazione” delle iniziative imprenditoriali nei servizi pubblici locali

Sono più di 900 ed hanno un volume d’affari di oltre 25 miliardi di euro, gestiscono i servizi pubblici locali, dall’energia ai trasporti, dai rifiuti alla manutenzione degli impianti, quasi sempre con affidamento diretto da parte dell’Ente locale (quindi senza gara), e sono uno dei pilastri del “caso Italia” da sempre denunciato da Radicali Italiani.
Sono note con il nome di ex-municipalizzate, o società di servizi a capitale misto (pubblico/privato),o multiutility o altri nomi altisonanti; dovevano essere uno strumento di transizione verso la liberalizzazione dei servizi pubblici locali aventi rilevanza economica, ma in realtà sono rimaste delle roccaforti della “statalizzazione d’impresa” basate su un patto tanto semplice quanto “scellerato”, che funziona quasi sempre così:
 
·         Gli Enti locali possiedono la maggioranza delle azioni (raramente quote minori) , scelgono i soci privati tramite gare davvero “uniche” nel loro genere, nominano amici, parenti e compagni partito nei consigli d’amministrazione e nel management e pagano con i soldi dei cittadini i debiti che inevitabilmente queste gestioni producono;
·         I soci privati, solitamente di minoranza, accettano di partecipare alla gestione di quel che si può tranquillamente definire come un “carrozzone” in cambio di qualche mancia, fatta spesso di incassi leggermente piu’ alti rispetto alle quote possedute, ottenuta senza alcun rischio di impresa (fallire avendo come socio il comune o la provincia è praticamente impossibile). E d’altronde l’alternativa non c’è in quanto la normativa consente che il “servizio” sia affidato dall’Ente locale alla società che l’ente stesso controlla: potere della “governance” italiana.
 
A pagare sono naturalmente i cittadini/utenti dei servizi pubblici locali che si trovano a fare i conti con servizi di livello scadente (rispetto alla media europea), pagati con tariffe notevoli e con aumenti nelle addizionali delle imposte, spesso necessari per coprire le perdite.
 
Ma non solo.
 
Il costo lo sopporta anche la “democrazia” negli Enti locali: è un triste dato di cronaca che le elezioni amministrative in Italia non sono quasi mai una libera elezione dei consigli comunali o provinciali quanto piuttosto una corsa d’interessi finalizzata a prendere possesso di queste ricche Società con tutte le “prebende” che ne conseguono.
 
Ma a pagare il conto più salato di tutti è probabilmente il tessuto economico italiano che si vede privare della possibilità di concorrere e crescere in un ampio mercato, quello dei servizi locali.
Anzi, queste società rappresentano una vera e propria “statalizzazione” delle iniziative imprenditoriali locali che, non potendo concorrere liberamente,  sono costrette a sottostare ai partiti politici che controllano gli Enti locali della zona (e quindi le aziende di servizi ) e distribuiscono “le carte” del business. Senza dimenticare che, sfruttando le sinergie che consentono la gestione di uno o più servizi pubblici locali, queste società pubblico/private si stanno costantemente espandendo in settori quali i servizi alle imprese o alla persona, i servizi di information technology ed altro ancora, provvedendo così a limitare anche in questi settori la libera concorrenza
 
Ben diverso sarebbe avere degli Enti locali che, senza conflitti di interesse e senza “concedere” i servizi a se stessi.., affidassero servizi pubblici locali al migliore offerente con gare reali e trasparenti e controllando poi puntualmente il livello dei servizi offerti agli utenti (e cambiando magari gestore quando il servizio risulti scadente).
Sarebbe certo una boccata d’ossigeno per la concorrenza nei servizi ed un’auspicabile quanto necessaria “estromissione” dei partiti locali dalla gestione di aziende sempre più grandi, complesse e a volte quotate.
La questione è ora finalmente in discussione in sede parlamentare e di governo (Disegno di legge governativo 772, “Delega per il riordino dei servizi pubblici locali”) , ma molti nodi rimangono ancora da sciogliere per giungere ad una effettiva liberalizzazione.
 
In conclusione appare quindi chiaro quanto oggi, in Italia, il “costo della politica” o meglio della “non-democrazia”, anche economica, dipenda moltissimo da una “radicale” (termine quanto mai appropriato) revisione della normativa dei servizi pubblici locali che consenta un’effettiva apertura del mercato ed una libera e responsabile concorrenza in questo settore.

NOTE

Rispettivamente Segretaria di Radicali Italiani ed esponente savonese di Radicali Italiani