RADICALI ROMA

L'autonomia dei Consigli municipali

Questa nuova consiliatura del Municipio Roma VI, la seconda dopo la trasformazione delle preesistenti Circoscrizioni in Municipi, avvenuta con Delibera del Consiglio comunale n. 22 del 19 gennaio 2001, si apre con all’ordine del giorno tutta una serie di problemi, di carattere istituzionale, ancora irrisolti che, nel loro complesso, costituiscono un pesante passo all’indietro in relazione al processo di decentramento e alla partecipazione democratica. Innanzitutto le cosiddette “più avanzate forme di decentramento e di autonomia organizzativa e funzionale” previsti dal comma 5 dell’art. 17 del TUEL (Testo unico sugli enti locali, D. lgs. 267/2000), non si sono viste, così come non sono state attuate le “particolarità” previste dall’art. 26 dello Statuto del Comune di Roma, come modificato dalla suddetta Deliberazione n. 22/2001.

Tra queste particolarità erano comprese: L’autonomia di Bilancio e una limitata autonomia nello stipulare contratti di lavoro, nonché il potere di organizzare il personale assegnato dal Comune centrale; anche alcune competenze attribuite già con la Deliberazione n. 10/1999, quali ad esempio il potere di gestione autonoma del patrimonio immobiliare comunale insistente nel territorio municipale, sono ben lungi dall’essere effettivamente decentrate.

Nel frattempo, in molte materie e questioni attinenti la reciproca responsabilità di Comune e Municipi, e segnatamente nell’ambito dei lavori pubblici, i Dipartimenti centrali hanno ricominciato ad esorbitare dalle loro competenze e ad occupare spazi che la normativa tendeva ad attribuire alla responsabilità degli organi municipali. Per quanto concerne, in particolare, l’autonomia di Bilancio riconosciuta dall’art. 26.6 bis dello Statuto del Comune di Roma, essa si scontra con la normativa risalente alla Deliberazione n. 10/1999 (art. 46 secondo comma), che la nega, nonché con la consueta prassi finanziaria del Comune centrale che, per svariati motivi (non ultimo quello costituito dalla rarefazione delle risorse finanziarie), non consente affatto alcuna forma d’autonomia finanziaria ai Municipi.

Parallelamente, a livello delle istituzioni municipali, è andato avanti quel processo che ha portato l’organo esecutivo, e specificatamente la Presidenza, a tracimare dalle sue specifiche competenze fino ad invadere il campo che, in base alla normativa vigente, spetterebbe al Consiglio municipale. Ciò per effetto: dell’elezione diretta del Presidente; del premio di maggioranza spettante alla coalizione vincente; della norma antiribaltone introdotta con la Riforma dello Statuto comunale approvata nel luglio del 2000; della facoltà assegnata al Presidente di nominare e di licenziare gli assessori, il compito dei quali è stato reso incompatibile con l’ufficio di consigliere. Si è assistito così ad un fenomeno di svuotamento delle competenze (d’indirizzo e di controllo, nonché di impulso e stimolo su tutta l’apparato esecutivo, politico e burocratico) del Consiglio e delle sue articolazioni (Commissioni) con risultati che contraddicono le fondamenta stesse e i principi stabiliti fin dall’istituzione delle Circoscrizioni, avvenuta con la legge n. 278/1976. Si può dire, in sostanza, che il processo di decentramento e, di conseguenza, la partecipazione democratica ad esso collegata, ha subito una seria battuta d’arresto, così come, del resto, ha subito una grave battuta d’arresto l’auspicata trasformazione del Comune di Roma in (a seconda dei casi o delle scuole di pensiero) o Distretto federale, o Città-regione, o Città metropolitana, sull’esempio di altre grandi capitali europee o extraeuropee come Parigi, Berlino, Vienna, Bruxelles, Washington, ecc.

Sotto quest’ultimo punto di vista, l’unica cosa che si è riuscita ad ottenere è stata la costituzionalizzazione di Roma quale capitale d’Italia, sancita dalla Legge Costituzionale n. 3 del 2001, che ha modificato l’art. 118 della Costituzione italiana. Ma è stato un risultato puramente teorico, poiché lo status di “Roma Capitale”, che la legge costituzionale affidava ad una specifica legge ordinaria, non ha affatto trovato, a tutt’oggi, alcuno sbocco legislativo, tant’è che, sul piano del diritto, il Comune di Roma è disciplinato dalle stesse norme vigenti e vincolanti in qualsiasi altro comune italiano, anche quelli piccolissimi di poche centinaia d’abitanti.

Essendo questa la situazione odierna, io penso che i Consigli Municipali, e quindi anche il Consiglio del Municipio VI, in questa nuova consiliatura debbano muoversi sul piano istituzionale lungo le seguenti direttrici:
1. riacquisizione della necessaria autonomia nei confronti degli organi esecutivi, Presidente e Giunta municipale, soprattutto in relazione alle funzioni d’indirizzo e di controllo che la legge affida loro, nonché delle collegate funzioni d’impulso, di proposta, regolamentare e di promozione della partecipazione democratica;
2. riacquisizione, per tutti gli organi municipali, di competenze già previste dallo Statuto e dal Regolamento e non attuate;
3. acquisizione di nuove competenze esorbitanti l’attuale, apparentemente lunghissimo elenco di cui al Titolo IV (artt. 50-69) della Deliberazione n. 10/99, e segnatamente nel campo dell’urbanistica e dello sviluppo economico;
4. promozione, in concorso con il Consiglio comunale e con i Consigli provinciale e regionale, di un’azione dal basso, supportata da un largo consenso democratico e partecipativo, avente come obiettivo l’approvazione di una Legge per Roma capitale che ne modifichi lo Status, scegliendo, tra le varie ipotesi proposte, quella più praticabile e già prevista in sede costituzionale, quella cioè della trasformazione del Comune in Città metropolitana e, di conseguenza, della trasformazione dei Municipi in comuni urbani.

In tal modo i Municipi potranno dimostrare di possedere una visione generale, e non particolaristica o corporativa, della loro funzione in un contesto di area vasta e in relazione ad una legislazione in continuo assestamento, e potranno adempiere a quel ruolo di promozione della partecipazione democratica, che il Legislatore ha individuato quale loro specifica sostanza. Del resto per la gran parte dei cittadini gli organi municipali rappresentano, sui territori, le istituzioni nella loro complessità, quindi non solo se stessi, ma anche il Comune e le istituzioni ad esso sovraordinate, attuando nella pratica e nella realtà quel principio di sussidiarietà che, introdotto nell’ordinamento giuridico da circa un decennio, si esprime nella formula: “Ciò che può essere fatto più agevolmente a livello periferico, va aiutato attraverso il decentramento di funzioni e competenze, nonché di risorse finanziarie e umane”.

Francesco Sirleto, consigliere VI Municipio