La meteorologia politico-economica offre una previsione largamente condivisa: l’autunno sarà caldo. Due sono i fronti di pressione: l’opposizione della sinistra (non riformista) della coalizione di governo al protocollo d’intesa con i sindacati sulle pensioni e sul mercato del lavoro; e, ancora una volta, la legge finanziaria.
Sulla prima questione, anche i più virulenti critici di parte riformista vorranno oggi riconoscere che, nelle condizioni date (ossia con l’abolizione dello “scalone” posta come obiettivo prioritario nel programma di coalizione, coni tentativi pressanti di ridurre la flessibilità del mercato del lavoro e con i numeri esistenti in Parlamento) , si è ottenuto un esito, che, pur remoto da quello ottimale, quale sipuò disegnare sulle pagine di una rivista, è meno insoddisfacente di altri, temibili e possibili.
Ma è anche un esito che non può sopportare modifiche al ribasso, onde soddisfare richieste prive il più delle volte di una seria motivazione e anche di una base empirica (come, ad esempio, quella di non abolire l’aggravio contributivo sugli straordinari, perché un aumento di ore lavorate ridurrebbe l’occupazione). Il “prendere o lasciare” del Presidente del Consiglio merita apprezzamento, purché quella posizione venga mantenuta senza compromessi. La sinistra della coalizione vorrà valutare i costi politici di uno scontro interno alla maggioranza: suoi soprattutto, quei costi, perché la crisi politica che ne seguirebbe porrebbe termine per lungo tempo ad una sua presenza al governo.
Nel caso della legge finanziaria i problemi sono più complicati e meno chiari. Nella sua comunicazione al pubblico il governo commette un peccato di segno opposto a quello commesso lo scorso anno. Allora, si dipinsero come drammatiche le condizioni della finanza pubblica, sovrastimando il disavanzo, e si rese chiaro che serviva un’altra ventina di miliardi per finanziare impegni di spesa ineludibili. Oggi si mena vanto della coincidenza fra obiettivi e tendenze, che escluderebbe la necessità di provvedimenti di riduzione di disavanzo. È una questione semantica un po’ futile (di cui ci si è già occupati): se alle tendenze a legislazione invariata si aggiunge il fabbisogno di finanziamento di spese incomprimibili o di impegni già assunti, ecco che saltano fuori 15-20 miliardi, che bisognerà pur coprire in qualche modo se si intende rispettare l’obiettivo di disavanzo.
Nel Documento di programmazione economico-finanziaria, in cui quel maggior fabbisogno, pur se posto sotto la linea, veniva onestamente indicato, il ministro dell’Economia chiedeva al Parlamento indicazioni su come procedere alla copertura, auspicando che esse riguardassero le altre spese da tagliare. Le dieci pagine a spazio uno della risoluzione della maggioranza sul Documento, in cui vi è di tutto un po’, non rispondono a quella domanda. Singolarmente, inoltre, il governo ha chiesto, e ottenuto, il ritiro di una proposta dei senatori D’Amico e Dini, che rispondeva alla domanda Impegnando il governo a un preciso percorso di riduzione della spesa nel prossimo triennio; mentre il ministro dell’Economia, per ora, si sforza di mettere in piedi una procedura rigorosa per impedire ai ministeri di spesa di avanzare richieste ulteriori, non comprese in quei 15-20 miliardi già preventivati. Sembrano dunque tutti tranquilli: come mai? Forse una risposta parziale la si rinviene, ancora una volta, nell’andamento delle entrate. Il vice-ministro Visco (sinora il tesoriere di questo governo, posto che il miglioramento, inatteso, dei saldi di finanza pubblica è tutto dovuto alle maggiori entrate) ha già detto che le nuove previsioni di entrata eccedono di circa due miliardi quelle, fresche di stampa, del Documento di programmazione. Si può azzardare una scommessa: il governo sa già che a fine settembre, con la nota di aggiornamento del Documento, quelle previsioni subiranno un ulteriore miglioramento, tale da finanziare in parte non piccola gli impegni che devono ancora essere tradotti in provvedimenti. Quasi tutto a posto allora? Non proprio. La spesa pubblica, impervia a tutti gli espedienti di controllo escogitati in questi anni (efficacemente censiti da Luigi Lazzi Grazzini sul Sole-24Ore) continua placidamente il suo corso, a una velocità variabile, ma mai inferiore a quella del prodotto nazionale: laverà riforma, che ne consentirebbe il rallentamento a parità di risultati è ancora di là da venire. Il meritorio recupero di base imponibile viene impiegato non già, come si dovrebbe, per ridurre le aliquote di imposta, maper mantenere la pressione fiscale allivello che consenta di tener dietro all’andamento di quella vera variabile indipendente che è la spesa pubblica. È difficile che si possa continuare così sino al 2011.