Qualche rara volta ci capita di vedere la tv che vorremmo. Merito di pochi, coraggiosi reporter capaci di disvelare il retroscena del teatrino politico, i meccanismi che lo muovono, le interconnessioni opache dove gli interessi dei partiti si agglutinano in operazioni di occupazione e spartizione, calibrate al millimetro. Nei mesi scorsi citammo in proposito le puntate di “Report”, curate da Milena Gabanelli che ci auguriamo riprendano presto. Nelle ultime tre domeniche, sulla terza rete Rai, abbiamo seguito un ineffabile investigatore, Riccardo Iacona, il quale con la flemma di un poliziotto britannico riusciva a far parlare e confessare una miriade di personaggi dell’universo clientelare calabrese ed abruzzese (con una scorsa anche nei corridoi di Montecitorio) e a spiegare quanta poca differenza ci sia sovente tra destra e sinistra nella gestione pratica dei mutui affari. Sotto la sigla “Viva l’Italia” Iacona ha costruito un’inchiesta su “Pane e politica”, per fare emergere come quest’ultima sia diventata, anche al di là del test calabro-pescarese analizzato in questa occasione, una professione ambita e diffusa, resa ancor più autoreferenziale dalla legge elettorale, in realtà molto bene accolta dalle segreterie dei partiti, diventate depositarie del potere di eleggere i loro prescelti. Dal Parlamento l’autoreferenzialità discende per li rami quasi fosse una dote di natura. Come giudicare, ad esempio, l’approvazione all’unanimità dei presenti da parte del Consiglio regionale della Calabria (ma chissà in quante altre regioni?) di una legge che ha permesso l’assunzione a spese del pubblico erario di 86 portaborse, parenti di deputati e funzionari di partito, accuratamente suddivisi per appartenenza, incaricati di assicurare con uno stipendio a vita il rapporto tra eletti ed elettori? Del resto il servizio di Marco Lillo e Peter Gomez pubblicato dall’ Espresso (8 marzo) ha al centro un marchingegno ancor più disinvolto nell’uso del denaro pubblico.
In proposito, però, il lettore non deve confondere gli scandali e le ruberie tipo lady Asl con il sistema di regalie a pioggia ufficialmente sancite dal bilancio della giunta. Con quella Storace la beneficenza era più copiosa: ogni consigliere aveva in media a disposizione 700.000 euro all’anno da distribuire a suo piacimento a società, gruppi, palestre, mostre, fiere e feste, enti locali e persino a strutture create ad hoc, secondo tabelle ed elenchi definiti, su suggerimento dei singoli consiglieri sponsor, al momento dell’approvazione della legge finanziaria. La giunta Marrazzo, alle prese col colossale buco ereditato, soprattutto per quanto concerne la sanità, ha avuto il merito di tagliare l’ammontare della benefica elargizione, portandola a 350.000 euro a consigliere. Ma si tratta pur sempre di 25 milioni di euro, sottratti a una gestione oculata, ad obbiettivi trasparenti ed economicamente prioritari. Perché mantenere in piedi una spesa generica e clientelare in partenza? La risposta è semplice quanto desolante: perché i partiti e le reti personali che ormai li rappresentano, quale che sia il colore, così esigono. L’istituzione — in questo caso la giunta regionale —non ce la fa a sottrarsi alla sua funzione di cinghia di trasmissione.
Un’altra riprova ci è fornita dal progetto di legge regionale presentata dal consigliere Roberto Alagna della lista civica Marrazzo al fine di ridurre i costi dei ben 86 enti, in parte inutili duplicati degli assessorati, società, agenzie dipendenti o partecipate dalla Regione Lazio (ma la situazione è più o meno identica anche nelle altre): «E’ un sistema che è andato ingigantendosi in maniera incontrollata nel tempo, determinando la proliferazione di centro di costo senza peraltro rispondere a principi di efficacia e di efficienza…. si registra invece un’attività eccessivamente invasiva da parte della politica da cui dipendono le nomine degli amministratori, attraverso meccanismi che non sembrano in grado di garantire scelte ispirate a competenze e professionalità». Gli enti presi in esame contano 46 presidenti, 172 consiglieri di amministrazione, 38 direttori generali, 189 revisori dei conti. Di fronte alla denuncia la giunta anche in questo caso è corsa, parzialmente, ai ripari: una quindicina di enti saranno trasformati in agenzie regionali, i consiglieri di amministrazione delle restanti società non potranno esser epiù di 3, le loro indennità ridotte del 10%. Parziali congratulazioni per un parziale ripensamento. Sarebbe, peraltro, utilissima un’inchiesta in tutta Italia per scoprire quante centinaia di micr -Iri proliferino in Regioni e Comuni a spese dell’erario.