RADICALI ROMA

Le Somalie dimenticate

Da mercoledì 23 dicembre il centro di Mogadiscio è teatro di scontri a fuoco tra i combattenti di Hizbul Islam e il contingente governativo composto da militari somali e quelli dell’Unione Africana. Si parla di quindici morti e oltre trenta feriti, di cui la maggior parte sono civili. Già il 3 dicembre scorso le immagini dell’attentato ad una festa di laurea (in cui avevano perso la vita circa venti persone, tra cui quattro ministri) avevano fatto il giro del mondo, ripresentando fortemente l’infernale situazione di una terra dilaniata dalla guerra civile e dal terrorismo islamico. L’attentato sembra infatti ricondurre all’azione degli shebab, gruppo islamico vicino ad Al Qaeda e forte oppositore del governo. Questa notizia ha riportato la realtà somala sotto i riflettori, mostrando ancora una volta la cruenta guerra che si sta combattendo. Ma la verità è che la storia del paese africano è misconosciuta dai più. Tutti conoscono la colonizzazione italiana cominciata negli anni ottanta dell’Ottocento, qualcuno sa che (dal 1969 al 1991) c’è stata la dittatura di Siad Barre, altri ricordano gli scontri successivi alla sua caduta e il ritiro del contingente statunitense, in seguito al fallimento della missione UNOSOM.
Per questo, una breve e poco pretenziosa cronistoria non farà certo male a nessuno. Nel 1995, dopo la terribile battaglia di Mogadiscio, l’Onu decise che non si poteva far più nulla, lasciando così tutto nelle mani dei Signori della Guerra. Questi imperversarono nel paese fino al 2006, quando furono sconfitti dalle Corti Islamiche, perdendo di fatto il controllo di Mogadiscio. A quel punto il governo si trasferì a Baidoa (250km dalla capitale) trovando il sostegno della forza militare etiope. Nel 2007, vista la drammatica situazione, gli Stati Uniti e l’Unione Africana decisero di inviare le proprie truppe in soccorso di quelle somalo-etiopiche, permettendo di riprendere così il controllo dell’antica capitale. L’anno successivo gli scontri non erano terminati, né tanto meno si erano attenuati. I soldati etiopi continuarono a scontrarsi con i combattenti islamici nelle strade di Mogadiscio finché, nel giugno del 2008, si giunse ad un accordo tra il governo somalo, una parte dell’opposizione e l’Etiopia. Naturalmente questo non bastò per pacificare il clima, per disarmare i ribelli.
Da allora fino ad oggi c’è sempre stato qualcuno che ha combattuto qualcun altro. Ci sono stati migliaia di morti tra i civili, scontri ogni giorno, attentati kamikaze, esecuzioni sommarie, stupri. Tutti gli atti ignominosi che una guerra civile porta con sé.
La notizia dei quindici morti, dunque, è contestualizzata: in Somalia non s’è mai smesso di sparare. Dal 1991 non s’è mai smesso di combattere per il controllo di uno stato tra i più poveri del Mondo. Signori della Guerra, Corti Islamiche, Governo Provvisorio sono entità bellicose e inconciliabili. Lo dimostrano i tentativi falliti di pacificare e unificare il paese. Galmudug, Maakhir, Northland, Puntland sono stati autonomi all’interno del territorio somalo. E se si considera il Somaliland (autoproclamatosi stato indipendente dal 1991), il quadro è completo. La frammentarietà del territorio rappresenta il dramma della verità: l’inesistenza di uno stato e la presenza del caos. A testimonianza riporto qui di seguito un estratto del reportage che Enzo Biagi scrisse nel ’92 per il Corriere della Sera. Parole anche crude nel racconto di chi la guerra e il disastro umano li ha visti coi propri occhi. Testimonianza che, anche se datata, non perde il suo valore. Non lo perde perché – ed è drammatico constatarlo -, a distanza di diciassette anni, nulla sembra essere cambiato. Tranne il fatto che non se ne parla quasi più.

Gli antichi egizi dicevano che questa «è la terra degli dei», e un amico che quaggiù visse, nei «giorni del colonialismo», che ha combinato anche porcherie, ma mai quanto la libertà , mi racconta che allora l’aria profumava di gelsomino. E una principessa inglese, all’inizio del secolo, scriveva che l’ Africa «vi mette le mani addosso, e una volta avvinti dal suo tocco magico, non si può più dimenticarla» . Forse quella signora era una grande romantica: Mogadiscio adesso è avvolta da un olezzo che opprime, materie che si decompongono, cose che marciscono, merda. Hanno rubato anche le tubature, non sono capaci di aggiustare le pompe dei pozzi e il liquido che riescono a raccogliere abbonda di magnesio che agisce da lassativo su disgraziati già afflitti dalla diarrea. Merda ovunque. Non c’è una casa che non sia stata colpita dai mortai, o scheggiata dalle raffiche; altro non ho visto, non ricordo un cane o un gatto, e le belle ville che alloggiavano i ricchi bananieri, i diplomatici, i facoltosi mercanti, sono demolite o svuotate: mattonelle, cessi, condutture elettriche, tutto si compera, tutto si vende. Dice un proverbio di queste parti: «Chi ha un fucile domani comanderà» .

di Roberto Sassi
membro di Radicaliroma

http://robertosassi.blogspot.com/