Si capisce che la nascita di un governo porti con sé l’atmosfera concitata di un nuovo inizio, il senso di una frattura con il passato e l’irruzione di un lessico e di un’ideologia improntati alla novità. Si comprende anche che siano tre donne pur diverse per formazione culturale e identità religiosa, Rosy Bindi, Livia Turco e Emma Bonino, a interpretare con più determinazione una sensibilità diffusa sulle più controverse scelte etico-politiche in una società complicata e plurale come la nostra. Ma proprio per la delicatezza di questioni tanto complesse sarebbe meglio arginare l’estemporaneità delle singole proposte per offrire all’opinione pubblica un’immagine univoca del nuovo governo: lo spettacolo di una regia, quella del presidente del Consiglio, che sappia intervenire prima che divampi in Italia una devastante guerra di religione.
Comunque la si pensi, è degno di nota il tentativo di una cattolica militante come Rosy Bindi di intervenire senza preclusioni sul tema delle coppie di fatto e addirittura sulla revisione della legge sulla procreazione assistita, anche a costo di affrontare le reprimende dell’Osservatore Romano e gli inevitabili scontri politici all’interno di una coalizione tanto eterogenea. E anche la carta di identità politico-religiosa di Livia Turco, diessina e cattolica, non può consentire di liquidare con sbrigativi anatemi la sua dichiarata intenzione di non mettere ostacoli alla sperimentazione in Italia della pillola abortiva Ru486. Da Emma Bonino, poi, è davvero difficile pretendere la rinuncia a ricordare, come ha fatto in un’intervista a Repubblica dopo la cerimonia di Ventotene, che nel Manifesto di Altiero Spinelli non è contemplata l’obbligatoria menzione delle «radici cristiane » come fonte identitaria dell’Europa ed è semmai contenuta «l’abolizione del Concordato».
Fanno bene, la Bindi, la Turco e la Bonino, a rendere esplicite le loro posizioni. Purché siano consapevoli che, in contrasto con esse, c’è un’Italia destinata ad allarmarsi, a vedere stravolta una parte essenziale dell’identità nazionale, a sentire la coscienza cristiana offesa o addirittura sfigurata. Si tratta di preoccupazioni se non giustificate, certamente legittime e comunque condivise da una parte non minoritaria del popolo italiano. E se l’esempio spagnolo di Zapatero (non è il caso di Rosy Bindi e Livia Turco, ma di Emma Bonino sì) per una parte della sinistra laica costituisce un modello, per il mondo cattolico rappresenta invece un incubo. L’idea che nella sfera della morale corrente e dei comportamenti sessuali si possa imprimere una scossa radicale che invece è vietata o sconsigliata nella sfera più strettamente economico-sociale riflette l’essenza stessa del fascino esercitato dallo «zapaterismo». Ma la paura dello zapaterismo ha radici altrettanto solide e non pretestuose. Si alimenta di convinzioni e credenze che non vogliono sentirsi umiliate.
Fa tutt’uno con la percezione diffusa che si voglia «punire» il cristianesimo, scatenare uno scontro frontale e prendersi una rivincita con Joseph Ratzinger proprio sui temi etico-civili e di morale sessual-familiare oggetto della predicazione papale. Per questo la proliferazione episodica di dichiarazioni di intenti dei ministri può generare dubbi e timori. Lasciare al premier Prodi il compito di una guida e di una sintesi su temi così eticamente sensibili appare, più che necessario, doveroso.