RADICALI ROMA

Legge sulla fecondazione La Consulta boccia il ricorso: niente test preimpianto

  Centinaia di coppie con malattie trasmissibili ai figli, come l’anemia mediterranea, hanno sperato fino a ieri sera. Poi verso le 19.30 è arrivata la sentenza che per il momento annulla ogni prospettiva di risolvere i loro problemi in un centro italiano. Non potranno richiedere la diagnosi preimpianto, quella che attraverso l’analisi dell’embrione permetterebbe loro di affrontare una gravidanza senza il rischio di avere un bambino con difetti genetici. La Corte Costituzionale ha infatti dichiarato inammissibile la questione di legittimità relativa ad una parte della discussa legge sulla fecondazione artificiale, in vigore da marzo del 2004.

 

 

 

 Al centro dell’udienza pubblica che si è svolta ieri mattina, l’articolo 13 che appunto riguarda l’esame del Dna dell’ovulo fecondato. In effetti la norma contestata non lo esclude del tutto, ma il divieto è contenuto nelle linee guida restrittive che l’accompagnano, approvate quando al ministero della Salute c’era Girolamo Sirchia. Da allora l’impossibilità di ricevere assistenza in Italia ha spinto molte coppie all’estero, soprattutto in Spagna e Grecia. L’ordinanza sarà depositata nei prossimi giorni e verrà scritta dal giudice Alfio Finocchiaro.

 

 

 

 Il caso era stato sollevato da una coppia con anemia mediterranea, in trattamento presso l’ospedale Microcitemico di Cagliari. La donna prima del 2004 aveva dovuto interrompere due gravidanze dopo aver scoperto, attraverso l’amniocentesi, che ambedue i bambini erano portatori della stessa malattia. Dopo l’entrata in vigore della legge, i coniugi si erano rivolti al tribunale del capoluogo sardo per poter effettuare diagnosi preimpianto sugli embrioni che, in attesa di decisioni, sono stati congelati.

 

 

 

 Il tribunale ha girato la questione di legittimità sostenendo la violazione degli articoli 2 e 32 della Costituzione sotto il profilo del rischio di danni biologici per l’embrione e per la madre, psicologicamente molto provata e quindi incapace di poter affrontare la nascita di un figlio con gravi problemi. I giudici cagliaritani inoltre hanno sottolineato la disparità di trattamento tra la posizione dei genitori cui è riconosciuto il diritto all’informazione sulla salute del feto nel corso della gravidanza attraverso l’amniocentesi e quella della coppia nella fase della procreazione assistita che precede l’impianto in utero degli embrioni. All’udienza non sono state ammesse le associazioni che si battono in difesa della legge (Movimento per la vita, Comitato etico per la salute della donna, Forum delle associazioni familiari). La sentenza è arrivata in tempi record ed e stata una sorpresa per tutti.

 

 

 

 La delusione di Filomena Gallo, avvocato, presidente dell’associazione Amica Cicogna, è nel filo di voce con cui risponde al telefono: “Non posso dare un giudizio tecnico, bisogna aspettare le motivazioni, molti genitori proveranno un senso di sconforto, si sono visti nuovamente negare i loro diritti. E’ molto difficile che la legge possa essere cambiata nel suo impianto, ma questo era l’unico modo per farla tornare in aula e modificarne gli aspetti meno condivisibili. La diagnosi sull’embrione potrebbe essere consentita per scopi terapeutici, nessuno intende fare eugenetica”. L’associazione Luca Coscioni contesta: “E’ stato espresso un giudizio politico — commenta il vicesegretario, Rocco Berardo —. La velocità con cui è arrivata la sentenza ci porta a queste conclusioni. La Corte va contro i diritti alla salute della donne”.