RADICALI ROMA

L'equivoco della tessera da giornalista

Caro Direttore,

 

 

grazie davvero -intanto- per l’attenzione che “Il Giornale” sta dedicando con continuità al tema dell’Ordine dei giornalisti, a partire (o a ripartire!) dalla proposta di abolizione che ho contribuito a rilanciare nei giorni scorsi.

 

 

Certo, faceva un po’ effetto leggere ieri il curioso intervento del Presidente dell’Ordine, Lorenzo del Boca, che rimproverava a me (che sto in Parlamento da tre mesi!) una riforma non fatta da circa quarantatré anni…Ma lasciamo perdere, e veniamo al punto.

 

 

Primo. Sa dirmi Del Boca come mai l’Italia è l’unico paese o quasi del mondo occidentale ad avere una struttura di questo genere? E sa dirmi come mai, nonostante questo “gioiello” chiamato a garantire (se ben capisco) il diritto dei cittadini ad essere informati, l’Italia è (a torto o a ragione) in fondo a tutte le classifiche mondiali sulla libertà di stampa?

 

 

Secondo. Sa dirmi qualche altro difensore dell’Ordine come mai, nel mondo anglosassone (dove non esiste questa corporazione, ma -com’è giusto- vivono libere associazioni di professionisti, accanto ad un forte sindacato), c’è una severità e un’attenzione alla deontologia che qui non abbiamo mai visto neppure con il cannocchiale? Quando, qualche mese fa, un redattore del “New York Times” è stato beccato a copiare un articolo, non è stato cacciato solo lui, ma (giusto o sbagliato che fosse) si è dimessa l’intera direzione del giornale.

 

 

Terzo. Sa dirmi qualche rappresentante dell’Ordine come mai questa struttura, così solerte -cito a caso- nel sanzionare Enzo Tortora all’indomani dell’infame inchiesta contro di lui, o a prendersela con Alberto Castagna, o a polemizzare con Mara Venier (perché, secondo l’Ordine, le interviste le potrebbero fare solo i giornalisti iscritti!), o a contestare a “Il Giornale” la pubblicazione di una foto (come se questo non appartenesse interamente alle scelte del Direttore e al suo rapporto con i lettori, che possono premiarlo o punirlo), come mai -dicevo- questa struttura così solerte in queste occasioni sia -invece- ancora pressoché immobile (al di là di qualche “procedimento aperto”, ma finora senza esiti) nei casi di “calciopoli” e “spiopoli”, dove la tutela del diritto dei lettori non sembra avere fatto esattamente una buona fine?

 

 

E allora, caro Del Boca, non facciamo come i tassisti più rumorosi e prepotenti, quelli pronti a bloccare le città se qualcuno osa mettere in discussione lo status quo. Semmai, ci si ponga nello spirito aperto di Paolo Serventi Longhi, leader del sindacato dei giornalisti, che -in modo serio e senza barricate- si è detto disponibile a discutere.

 

 

Tra l’altro, com’è noto, da Luigi Einaudi in poi (fino ad arrivare a tante autorevolissime firme del giornalismo), moltissimi hanno posto e continuano a porre la questione, ben al di là dei radicali. Perché non discuterne, allora? Il meccanismo che abbiamo proposto è quello adottato da quasi tutti i paesi del mondo, a partire dalla Francia: sia considerato giornalista non solo e non tanto chi sia titolare di una tessera, ma chi il giornalista lo fa per davvero, perché a questo dedica la sua attività lavorativa e professionale.

 

 

A meno che qualche solone non voglia negare il titolo di giornalista a chi, come Antonio Russo, non aveva tessere, ma raccontò attraverso Radio Radicale (dall’Algeria alla Bosnia alla Cecenia, pagando di persona, come purtroppo ben sappiamo) quello che tanti illustri “tesserati” non videro o finsero di non vedere.