«Un’operazione di spionaggio politico, teso a condizionare le elezioni gettando fango sugli avversari di Francesco Storace (all’epoca dei fatti presidente della regione Lazio e oggi ministro della Salute) è stata scoperta dalla Procura di Milano». Così ieri tornava agli onori delle cronache quello che già all’epoca dei fatti era stato battezzato «Watergate all’amatriciana». E ci tornava dalla prima pagina del Corriere della sera, sotto il titolo: «Spiavano Marrazzo e la Mussolini per favorire Storace». Eppure, nel vasto mare dell’inchiesta milanese, la vicenda laziale sembrerebbe essere solo un «piccolo rivolo» – come ha scritto lo stesso quotidiano in un retroscena – e forse nemmeno il più importante.
Alle richieste di chiarimenti della Mussolini e del centrosinistra Storace ha risposto nel pomeriggio parlando di una campagna di stampa organizzata dal Corriere e minacciando querele nei confronti dei giornalisti che riportassero simili «balle». Ma è evidente, anche dai sedici arresti disposti mercoledì (undici investigatori privati, due finanzieri, un poliziotto e due dipendenti della Tim) di cui ieri ha dato conto l’articolo appena citato, che in questo caso i giornalisti sono arrivati per ultimi.
Ad allarmare i pm, scrive ancora il Corriere, è però il coinvolgimento del «capo della sicurezza di Telecom Italia, Giuliano Tavaroli, ex ufficiale dei carabinieri dell’Antiterrorismo poi passato alla Pirelli… sospettato di capeggiare una sorta di centrale clandestina di 007 privati in grado di violare perfino i segreti delle Procure». Nonché ”responsabile del Centro nazionale per l’autorità giudiziaria (Cnag)”, cioè “l’uomo a cui tutti i magistrati italiani devono rivolgersi per poter eseguire intercettazioni telefoniche”.
Una simile notizia, ovviamente, non ha allarmato solo i pm. Le parole del responsabile sicurezza e difesa dei Ds, Marco Minniti, non lasciano dubbi in proposito. «Negli ultimi mesi abbiamo assistito a una autentica escalation – dichiara – prima l’esistenza di polizie private parallele con l’imbarazzante vicenda della candidatura di Saia, poi le intercettazioni ad esponenti politici di primissimo piano illecitamente effettuate e pubblicate; oggi apprendiamo di furti di elenchi e tabulati, di pedinamenti, di appostamenti». Parole che ricordano quelle pronunciate non molto tempo fa – dinanzi alla pubblicazione di altre intercettazioni illegali, quelle legate al caso Unipol – pronunciate da un altro dirigente diessino non meno esperto in simili materie. Allora l’intervento di Massimo Brutti che invitava i servizi a tenersi fuori dalla campagna elettorale e da ogni tentativo di strumentalizzazione suscitò molte polemiche. Ma l’emergere di una struttura parallela di spionaggio illegale, capace di fabbricare e diffondere dossier compromettenti, a cominciare dalle intercettazioni, fa ora tornare alla mente una lunga serie di casi.
Non si tratta solo delle intercettazioni sugli scandali bancari, anche se in molti nel centrosinistra, leggendo lo scoop del Corriere, per prima cosa hanno ripensato proprio alla famosa intercettazione della telefnnata tra Fassino e Consorte, o alla misteriosa comparsa su tutti i giornali dell’estratto conto di Massimo D’Alema alla Bpi. Ma a dicembre dell’anno scorso sui giornali era finita anche un’altra vicenda che aveva destato qualche attenzione: in casa di un consigliere di amministrazione dell’Anas, stretto collaboratore di un viceministro di An, era stata trovata infatti dai magistrati la trascrizione di alcune telefonate tra il presidente dell’Anas e lo stesso Piero Fassino.
A sinistra si diffonde pertanto il sospetto che negli ambienti di destra, in quella zona grigia al confine tra agenzie di investigazione private e «pubblici ufficiali infedeli», si sia costituita da tempo una rete diffusa e molto attiva. Il coinvolgimento degli uomini dello staff di Storace sarebbe quindi dovuto al fatto che gli investigatori da loro assoldati – secondo il ministro al solo scopo di effettuare una bonifica degli uffici della regione – si sarebbero rivolti ad alcuni marescialli della Guardia di Finanza di Novara per ottenere informazioni riservatissime su Marrazzo e la Mussolini. Di qui, i pm milanesi che indagavano sulla rete di spionaggio illegale si sarebbero imbattuti nel caso delle regionali nel Lazio.