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Libertà religiosa, lo stop della Cei: errore parificare i cattolici agli altri

Pollice verso della Cei nei confronti del progetto di legge sulla libertà religiosa, che invece piace molto alle altre confessioni. I vescovi respingo­no l’idea che la Chiesa cattolica sia uguale alle altre confessioni. E criticano il fatto che il princi­pio di laicità sia la base della li­bertà concessa a tutte le fedi.

 

 

 

Portatore del giudizio negati­vo, durante l’audizione in com­missione Affari costituzionali della Camera, è stato il segreta­rio della Cei monsignor Giuseppe Betori. Il concetto di laicità — ha criticato — «è più vicino al modello francese che non alla tradizione italiana». Inoltre il progetto «rischia di omologare la Chiesa cattolica e le altre con­fessioni religiose» nei rapporti con lo Stato.

 

 

 

Per la Cei suscita «sorpresa e preoccupazione» l’introduzio­ne del principio della laicità come fondamento della legge sul­la libertà religiosa. Per i vescovi dovrebbe essere il contrario, e cioè che «il diritto alla libertà re­ligiosa strutturi il principio di laicità». Qui però la gerarchia ecclesiastica sbaglia: la Corte Costituzionale ha già ricono­sciuto la laicità come principio supremo dell’ordinamento giuridico. Il che è evidente. In base alla laicità lo Stato non può ispirarsi né ad un’ideologia né ad una religione e ogni credo è uguale davanti alla legge.

 

 

 

Proprio questo, invece, di­sturba la Cei, che dai privilegi concordatari vuole dedurre uno status di rango più elevato per la fede cattolica. Betori è stato polemico: «L’inserimento del principio di laicità nell’ordi­namento mediante una legge sulla libertà religiosa e la sua af­fermazione quale fondamento di una tale libertà appare singo­lare e forzata». Duro anche il giudizio sulla disciplina paraconcordataria dei matrimoni religiosi di altre fedi. Intanto perché c’è il rischio di introdur­re istituti in contrasto con prin­cipi irrinunciabili della legge italiana. I musulmani, ha ricor­dato Betori, prevedono «forme di poligamia» e «non si possono riconoscere effetti civili a questi matrimoni». Ma c’è un aspetto più generale, che da ragione ai vescovi: in molti paesi di altre culture il rito religioso è cosa di­versa dal matrimonio come istituto giuridico e non ha senso inventare in Italia un «matri­monio religioso» per fedi che non lo hanno. «Nel mondo musulmano — sottolinea in pro­posito Souad Sbai, leader del­l’associazione donne maroc­chine — il contratto matrimoniale si fa dal notaio ed è assur­do trasformare gli imam in mi­nistri del culto». In ogni caso il prelato ha ammonito che l’integrazione di nuovi gruppi etnici non può portare al cedimento di fronte a «dottrine o pratiche che suscitano allarme sociale». L’audizione di Betori, inizia­ta con parole di apprezzamen­to, è stata scandita da una raffi­ca di giudizi negativi sugli aspetti «problematici e non condivisibili» del progetto. La Cei teme le norme che riguar­dano l’accesso delle altre fedi al servizio pubblico radiotelevisi­vo. Chiede approfondimenti a proposito del «registro delle confessioni» e dei «diritti delle confessioni» iscritte. E non è d’accordo su come il testo disci­plina la materia degli edifici di culto né sull’equiparazione au­tomatica delle confessioni e as­sociazioni religiose alle Onlus ai fini della destinazione del 5 per mille e delle donazioni. Me­no che mai la Cei accetta che il trattamento delle altre fedi ri­calchi il regime giuridico «bila­teralmente previsto per la Chie­sa cattolica». Insomma, uno stop su tutta la linea.