RADICALI ROMA

L'immagine illusoria di un conflitto permanente

di David Gallerano

Quello che è successo a Berlusconi, è l’opinione comune tra le persone provviste di giudizio, si trasformerà in un vantaggio politico per lui e per i suoi innumerevoli sgherri sparsi tra maggioranza e opposizione. Già pochi minuti dopo l’aggressione è iniziato il consueto affollamento di dichiarazioni “trasversali” di solidarietà e condanna inesorabile.
Per prima cosa, ciò che è da stabilire non è se sia da condannare o meno il funesto evento. Non farlo equivarrebbe a condividerlo, o quantomeno ad apprezzarne le intenzioni; chiunque lo fa se ne assume la precisa responsabilità. Dovrebbe avere l’onestà intellettuale di affermare che nella medesima situazione, salvo concedersi l’attenuante della mancanza di coraggio, avrebbe agito nello stesso modo. Il che, a sua volta, significa accettare e promuovere coerentemente un’idea di lotta politica, o anche solo di agire quotidiano, incentrati sulla violenza fisica. Di per sé non è un delitto, non è necessariamente una posizione illegittima, purché ce ne si assuma la responsabilità.
Premesso questo: l’intento degli amici di Berlusconi è quello, strumentale e pretestuoso, di affermare che alla base di quest’aggressione vi sia un clima generale di odio personale inaugurato e perpetrato da una certa opposizione per liberarsi del presidente del consiglio.
Non c’è un solo elemento di questa storia che sembri avvalorare questa tesi: l’aggressore è un libero cittadino incensurato, con conclamati disturbi psichici (qualsiasi cosa voglia dire), che ha agito da solo e senza l’aiuto di nessuno.
Molti personaggi famosi sono stati vittime di aggressioni da parte di individui meno noti, senza che si potesse scorgere nessun clima d’odio sotteso e nessun indurimento della lotta politica. Anzi, più spesso, il clima generale era di segno opposto: un clima di santificazione o addirittura di sacralizzazione o divinizzazione. E proprio influenzati e invasati da questo ambiente hanno agito, in certi casi, gli aggressori (faccio riferimento, come esempio, al caso dell’omicidio di John Lennon).
Fatto sta che, anche in questo caso, le opinioni dei politici di tutti gli schieramenti hanno recato l’insegna del più bieco conformismo e dell’aridità politica. Non fa eccezione la posizione di Di Pietro. Salvo ribadire la più ferma condanna per l’aggressione, questi ha anche aggiunto che non c’è di che stupirsi, visto il clima di odio ingenerato dall’aggressività verbale del presidente del consiglio.
Chiaramente Di Pietro ha voluto cavalcare la prevedibile soddisfazione, anche solo goliardica, di coloro che non hanno simpatia per Berlusconi, tra cui i suoi elettori. Ma la sua posizione ha il difetto di essere uguale e contraria a quella di tutti gli altri. Contraria, certo. Ma anche uguale. Cioè rovescia la responsabilità del clima d’odio politico da sé e dagli altri presunti oppositori di Berlusconi a Berlusconi stesso; ma questo vuol dire che accetta l’assioma dell’esistenza di un clima politico violento in questo paese, come vogliono dimostrare anche gli amici del premier. Fatto che può anche essere vero in teoria, ma di certo non è riscontrabile in alcun modo nell’evento di cui stiamo parlando.
Giungiamo così al problema dell’idea di verità come è ricavabile da coloro che governano la politica, l’informazione e conseguentemente l’opinione pubblica in questo paese.
Mi pare infatti che, rispetto all’analisi di un certo fatto, essi espongano sempre o una sola verità, assoluta e incontrovertibile, oppure due, relative e contrarie tra loro.
La prima verità è la base condivisa della discussione politica, e assume la forma di assioma o postulato: per esempio, se si vuole discutere della questione dei crocifissi nelle aule di scuola, la verità una e incontrovertibile è che il crocifisso è un simbolo della tradizione e della cultura del nostro paese. Cosa, a mio avviso, discutibile sotto molti punti di vista. Le due verità, invece, le poche volte che si arriva ad averne addirittura due, rappresentano le due diverse opinioni politiche delle due fazioni contrapposte. Molto spesso posizioni contrarie tra loro al solo scopo di dare l’immagine illusoria di un conflitto permanente.
E torniamo all’aggressione. Mi sembra che la vera questione politica nel merito riguardi la condizione di scarsa sicurezza nella quale vive il presidente del consiglio. Quando La Russa parla di “terrorismo” per catalogare ciò che è accaduto, dovrebbe considerare che, se di terrorismo si è trattato, è un terrorismo interno allo Stato, è un terrorismo di Stato. Garantire la sicurezza di un alto esponente dello Stato, per giunta in un’occasione simile, è una responsabilità precipua dello Stato stesso. E del governo. Che Berlusconi in persona presiede. Cercheranno di argomentare che questi è un uomo che ama stare tra la folla, che gode nel percepire il calore della gente. Ma questo, come si sa bene e come è vero ovunque per gli uomini di potere, costituisce dei seri rischi. Mettersi in un tale pericolo è una grave mancanza di responsabilità del presidente del consiglio.
Con questo non voglio si pensi che io intenda rovesciare la colpa dal carnefice alla vittima.
Perché, vi assicuro, so distinguere bene un carnefice da una vittima. E sono certo che l’uomo che ha aggredito Berlusconi, anche senza individuare in quest’ultimo la figura del carnefice, è e sarà in futuro la vera vittima di quello che è successo. E allora, non solo dovremo vigilare affinché l’inevitabile vicenda giudiziaria si svolga nella piena legalità e nel rispetto della dignità della sua persona, ma anche dovremo tirar fuori da noi stessi la pena, la compassione ma soprattutto la comprensione umana che quest’uomo non troverà mai nei deserti di finta indignazione della politica e della stampa di regime.