Hanno perso iscritti e radicamento sul territorio, con una lenta e inesorabile emorragia. Sopravvivono per lo più grazie ai rimborsi elettorali, che coprono ormai il 90 per cento dei loro bilanci. E ciò nonostante, i conti segnano profondo rosso. I dirigenti hanno finito col coincidere con i parlamentari, accantonando quella sorta di regola aurea della separazione dei poteri che De e Pci si erano sforzati di rispettare. Col risultato che ad essere candidata è sempre più la ristretta cerchia dei più prossimi ai leader, ormai unici veri centri decisionali.
Sono i partiti italiani, passati al setaccio nella loro evoluzione degli ultimi quindici anni da tre accademici: Luciano Bardi, Piero Ignazi, Oreste Massari. Il risultato è uno studio su «Iscritti, dirigenti ed eletti» (pubblicato dalla Università Bocconi Editore) che ha mes-so sotto esame la galassia post-de-mocristiana e i Ds, Forza Italia ed An, la sinistra radicale e la Lega Nord. Per scoprire che sono strutture profondamente mutate, ma non per questo meno costose, dato che «sono aumentati personale, dotazioni logistiche e finanziamenti». Costi che però sono sempre più mantenuti dalle istituzioni, Camera e Senato soprattutto, dato che i dirigenti dei partiti sono appunto parlamentari e utilizzano risorse, strumenti e personale di Montecitorio e Palazzo Madama. Tre le lenti attraverso le quali gli studiosi hanno approfondito, con un lavoro lungo due anni, la realtà dei maggiori partiti: la struttura territoriale (sezioni, circoli e quant’altro), la struttura centrale (comitati, direzioni, segreterie) e gli eletti.
Cosa hanno scoperto i tre docenti di scienze politiche? Intanto, che i partiti incassano parecchio da rimborsi elettorali e spendono altrettanto. Anche il partito-movimento per eccellenza, Forzaltalia. Nell’anno dellafondazione, 1994, ha vantato entrate per 19 milioni 923 mila euro, di cui 17 milioni e mezzo da contributi statali. Cifra quest’ultima lievitata nel 2005, anno pre-elettorale, a 40 milioni 739 mila euro. E le spese? Un picco di 229 milioni nel 2001 che ha segnato il ritorno al governo di Berlusconi, scesi poi a 45 milioni nel 2005 delle Regionali, col personale dipendente che costa oggi quasi 3 milioni e mezzo. Un partito, quello del Cavaliere, in cui a differenza che negli altri «l’80 per cento dei parlamentari proviene dalle libere professioni e dal settore privato dell’economia». Sul fronte opposto, i Ds percepiscono ancora oltre cinque milioni di euro di introiti dalle iscrizioni ma il doppio da contributi statali e altrettanti da privati, raccolti attraverso il cosiddetto Fund raising. Nel 2003 (ultima rilevazione registrata) il totale delle entrate per la Quercia aveva toccato quota 24 milioni. Un partito certo più leggero, dato che non si contano più i quasi 2.600 dipendenti in organico nel 1989, ma è anche vero che ancora quattro anni fa gli impiegati dei Ds in Italia erano poco più di 800, che assorbivano quasi 4 milioni di euro.
Sul piano politico generale, lo studio ha registrato «una tendenza alla centralizzazione e verticalizzazione del potere, che ha svuotato gli organi collettivi a favore di quelli monocratici». Certo è che se l’appeal dei partiti italiani si misura dalle iscrizioni, allora il quadro per loro non è affatto rassicurante. Gli iscritti di tutte le sigle sono 2.376.285, a fronte di 49.543.000 elettori. Cinque iscritti ogni cento elettori, poca cosa. A fare le spese della disaffezione è stata soprattutto la Quercia, passata dai 989.798 iscritti del ’91 (ancora Pds) ai 615.414 annunciati alla vigilia del congresso di Firenze. In sorprendente controtendenza la Margherita, passata dai 260 mila iscritti della fondazione nel 2002 ai 430 mila dello scorso anno, lievitati ulteriormente col tesseramento di quest’anno. Le polemiche non sono mancate, di recente, sui presunti finti arruolamenti, tanto da stimolare la facile ironia dell’ex diessino Cesare Salvi, in occasione della presentazione dello studio ieri mattina al Senato: «Ma dove erano i 40 mila iscritti della Margherita di Roma e perché al congresso cittadino si è presentato solo un terzo? E gli altri?» Ma cresce molto anche il partito di Fini: An è balzata da 467 mila ai poco meno di 600 mila degli ultimi due anni. E Forza Italia? I militanti dei club? Erano poco più di 5 mila all’alba del ’94. Il coordinamento di Bondi e Cicchitto ne ha dichiarati 190 mila lo scorso anno.