RADICALI ROMA

Lo scalone mette alla prova il patto Radicali-Unione

  Il progetto di matrimonio tra Radicali e Unione reggerà alla prova del programma? Questa era la domanda che ci eravamo posti nell’autunno del 2005, al termine del congresso di Riccione. «In attesa della rivoluzione liberale ci vuole più Blair, il centro-sinistra ne ha bisogno, occorre una scossa sul fronte economico e sociale», diceva l’allora segretario Capezzone.

 

Passati due anni scarsi, dopo aver dato vita assieme ai socialisti di Boselli a un nuovo soggetto politico (la Rosa nel Pugno) e dopo un anno di governo di centro-sinistra, vale la pena di aggiornare la domanda. Reggerà alla prova delle pensioni la permanenza dei radicali nella coalizione di centro-sinistra e nello stesso Esecutivo Prodi, con Emma Bonino impegnata in una posizione di tutto rispetto (Politiche europee e Commercio internazionale) nella compagine governativa?

 

La questione è cruciale per tutto il fronte riformista che è presente nel centro-sinistra, ma lo è a maggior ragione per una formazione politica, quella dei radicali italiani, che da quando è nata, nel 1955, non ha certo mai difettato in termini di visione liberale. E che fin da allora, sulla scia innovatrice del laburismo anglosassone, si è sempre battuta in Italia per modernizzare la sinistra e contro i veti sindacali.

 

Con l’attuale discussione sulla riforma della riforma delle pensioni varata tre anni fa siamo arrivati a uno snodo dirimente. Di qua c`è il famoso “scalone” e l’idea di aumentare l’età di pensionamento. Di là c’è, se non l’abolizione secca, il suo superamento per “scalini” che costa comunque molti miliardi. Di qua c’è un percorso europeo, di là c’è l’alt imposto dalla sinistra comunista e verde che rincorre la Cgil la quale, a sua volta, rincorre la Fiom. Non deve essere facile, per i radicali, quest’attesa della proposta fmale (si fa per dire) del premier Prodi. Se il programma elettorale, più che blairista, è stato generico, se il il primo annodi governo è stato segnato più che altro da un aumento delle tasse, ora sul casopensioni, dopo rinvii su rinvii, tutti si giocano tutto.

 

Ricorda Rita Bernardini che quando fu eletta segretario dei radicali, Prodi le disse: «Tranquilli, se non facciamo la riforma entro marzo, il mio Governo si suicida e io non ho alcuna intenzione di scavarmi la fossa». E ora la Bernardini teme proprio il «suicidio», per di più «non assistito e senza alcuna sedazione». Pannella spinge Prodi a fare come Craxi sulla scala mobile negli anni Ottanta. Nel frattempo, Capezzone sceglie di accelerare autonomamente sulla strada di una scossa riformista e propone tra l’altro, oltre a una flat tax, una sorta di marcia dei 40mila per alzare l’età pensionabile e in favore dei giovani.

 

Non importa qui occuparsi delle polemiche interne al partito tra Capezzone e il leader storico Pannella. Importa piuttosto sottolineare che la posizione dei radicali (Consiglio nazionale 1° luglio) è favorevole a mantenere lo “scalone” a 60 anni e sostiene una riforma complessiva del welfare che consenta il decollo degli ammortizzatori sociali (tutelando i lavoratori e non i posti di lavoro) e insieme difenda la “legge Biagi”. Il tutto, in una strategia di abbattimento del debito pubblico che faccia leva sulla riduzione della spesa pubblica e non sull’aumento delle entrate.

 

I radicali dovranno scegliere. A loro, in nome della loro storia, anche personale, si può chiedere di non accettare controriforme o compromessi pasticciati.