RADICALI ROMA

L’ufficio enti inutili non riesce neppure a liquidare se stesso

In Italia esiste un ente creato apposta per sopprimere gli enti inutili. Si chiama Iged – Ispettorato generale per la liquidazione di enti disciolti – e da cinquant’anni esatti fa il suo sporco lavoro con apparente calma. I primi seicento enti inutili furono dichiarati tali nel 1956. Nel tempo se ne sono aggiunti fino a un totale di ottocentoventisette. L’Iged è riuscito a chiuderne settecentouno. Gliene restano centoventisei, più altri dodici commissariati per gravi pendenze economiche. Totale: centotrentotto. Anzi, centotrentanove. Il centotrentanovesimo è proprio l’Iged, la cui inutilità è stata stabilita nel 2002. Da allora l’Iged è faticosamente impegnato nella liquidazione di se stesso, e per chi si fosse perso per strada, il riassunto è il seguente: l’ente che elimina gli enti inutili è un ente inutile.

Ogni governo di cui si abbia memoria si è solennemente assunto l’incarico di ingaggiare una guerra senza quartiere agli sprechi. Il grido di battaglia è il medesimo per tutti: ora basta, risolviamo il problema degli enti inutili. Questi ormai mitologici enti inutili sono soprattutto eredità del Ventennio fascista, moltiplicati dalla mania corporativistica. L’esempio più clamoroso, che non c’entra con le corporazioni ma con il fascio sì, è la Lati, le Linee aeree transcontinentali italiane. Venne fondata da Benito Mussolini su imbeccata di Italo Balbo, aviatore provetto. La Lati venne inserita nell’elenco dei seicento enti inutili stilato nel 1956. Ma mezzo secolo più tardi la liquidazione non è ancora conclusa. Si comincerà dunque a capire perché l’ente che elimina gli enti inutili è un ente inutile. E non solo: anche costoso. Uno studio della Confesercenti dello scorso anno rilevò che l’Iged, con quattordici uffici, quattordici dirigenti e un centinaio di funzionari costava allo stato una cinquantina di milioni di euro (cento miliardi di lire) l’anno. Erano più o meno i numeri di cui venne in possesso nel 2002 il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, allorché intraprese la solita guerra. La soluzione finale scelta da Tremonti fu quella di constatare l’inutilità, se non la dannosità, dell’Iged. Le numerose pratiche ancora aperte dovevano passare alla Fintecna, società esterna controllata dallo Stato. Ma l’Iged procede con i tempi che le sono riconosciuti. Per ora ha cancellato quattro dei suoi quattordici uffici e quindi, per chi si fosse di nuovo perso per strada, il secondo riassunto è il seguente: l’ente inutile che non riesce a eliminare gli enti inutili non riesce come ovvio a eliminare se stesso.

Chiunque si immagina che in queste decine di enti inutili lavorino decrepiti impiegati con la visiera, che aggiornano regi decreti contenuti in faldoni polverosi e trascorrono le giornate nei seminterrati dei ministeri. E il ventisette del mese ricevono la busta paga. Non è così. Gli enti inutili non hanno dipendenti, e non hanno sedi. Perlomeno non hanno sedi funzionanti. Se non si riesce a liquidarli in certi casi dipende proprio dal fatto che si deve decidere una nuova destinazione della sede stessa, oppure la sua vendita a privati, chiamata in burocratese «cartolarizzazione». A impedire la liquidazione definitiva (l’uso dell’aggettivo «definitiva» sarebbe altrove inutile come gli enti in questione) sono sempre cavilli, pendenze, posizioni pensionistiche da definire. Vale la pena di ritirare in ballo la vicenda della Lati – le linee aeree di Balbo destinate a collegare l’Italia col Sudamerica – perché è esemplare. La Lati continua a esistere, senza sede e senza dipendenti, dal momento che rimane in piedi un’allucinante vertenza col governo brasiliano a proposito di un terreno del valore di circa quindicimila euro. Non si riesce a stabilire a chi appartenga il terreno, se a noi o al Brasile, e la Lati sopravvive.

Nell’ultima relazione trimestrale della Fintecna (che cerca poco a poco di sostituire l’Iged), del 30 giugno 2006, è riportata la vicenda dell’«Encc», il misterioso «Ente nazionale carta e cellulosa», da undici anni in attesa di sepoltura. Un avvocato, però, reclama parcelle arretrate per la somma di ventuno milioni di euro, quaranta miliardi di lire, e le esequie non si celebrano. L’Istituto «Bruno Leoni» di Torino ha recentemente illustrato la vicenda dell’Onpi, l’Opera nazionale pensionati d’Italia. Anch’essa è in liquidazione e anch’essa resiste per via di alcune posizioni previdenziali rimaste in sospeso. Questo non impedisce allo Stato di cancellare in «contributo ex Onpi», una trattenuta mensile «su ciascun rateo di pensione» di un centesimo di euro, riconversione delle precedenti venti lire. I nostri pensionati, per spiegarci, ogni anno versano tredici centesimi (dodici mensilità più tredicesima) all’ex Onpi per un totale annuo di due milioni e mezzo di euro, poi girati all’erario.

Il casino è totale. Decifrando le carte dell’ispettorato, si arriva a capire che l’Inpdap avanza crediti dall’ex Enpas, il quale ex Enpas ne vantava a sua volta dall’ex Enpdedp, che non è un partito di minoranza ma l’(inutile) «Ente nazionale di previdenza dei dipendenti da enti di diritto pubblico». Però, secondo l’Enpas, l’Enpdedp ha già versato 3 milioni e 200 mila euro, mentre l’Enpdedp sostiene di averne versati 15 milioni e 700 mila. Se al garbuglio si aggiunge che, sempre stando ai calcoli della Fintecna, «la definizione delle pratiche del personale degli enti in liquidazione potrebbe comportare oneri… stimati in circa 370 milioni di euro», si comincia a capire la ragione per la quale in Italia esistono ancora la «Cassa conguaglio zucchero» e l’«Orfanotrofio militare di Napoli».