RADICALI ROMA

L'Unione nella strettoia tra America e Vaticano

  A prima vista, si tratta di un intreccio improbabile: bioetica e politica estera, matrimoni omosessuali e ritiro dall’Iraq. Ma analizzando le prese di posizione vaticane di ieri, e affiancandole a quelle dell’Amministrazione statunitense, si avverte una certa sintonia. È il contrario di quanto emerge mettendo a confronto il lessico della Santa Sede con quello di una parte dell’Unione. In questo caso, si ha l’impressione di una divergenza netta. I rapporti con le gerarchie cattoliche e gli Stati uniti sono destinati a rimanere un fronte insidioso per il governo di Romano Prodi. Oltre tutto, conflitto iracheno e questioni etiche fanno aumentare il fossato fra la Margherita e alcuni settori del centrosinistra; e complicano le prospettive del futuro Partito democratico. Era prevedibile la durezza con la quale il Vaticano ha ribadito i propri imperativi su fecondazione artificiale, crisi della famiglia, unioni di fatto, additate addirittura come segni di un’«eclissi di Dio». Colpisce, invece, l’approccio molto simile usato da George Bush contro i matrimoni omosessuali; e la coincidenza temporale della loro offensiva. Il documento della Santa Sede contro manipolazione genetica, aborto, «coppie insolite», è di ieri. E fa il paio con il braccio di ferro che sugli stessi temi il presidente degli Stati Uniti ha ingaggiato con il Congresso. Ritenere che si tratti di una strategia concordata sarebbe fuorviante; ma che li accomuni, è un fatto. Il dubbio che sulla campagna di Bush influisca anche la prospettiva del voto di novembre (in Usa si terranno le elezioni di metà mandato) è forte.

 

 

 

 Ma il fattore religioso connota la sua presidenza dall’inizio. Sembra riemergere così un asse che lega Vaticano e Casa Bianca, attraversando l’Atlantico e facendo apparire l’Europa un continente secolarizzato. Il modo in cui il Pontificio Consiglio per la famiglia evoca «l’istituzione naturale del matrimonio vittima di attacchi violenti», suona come un messaggio in primo luogo al Vecchio Continente. E le reazioni di chi si sente ingiustamente attaccato, tendono a confermarlo. Il parlamentare diessino Franco Grillini, presidente onorario dell’Arcigay, usa parole significative. Grillini ritiene «sproporzionato, incoerente e ridicolo» il linguaggio della Santa Sede. Ricorda che «la stragrande maggioranza dei Paesi europei hanno applicato leggi più radicali dei Pacs». Si parla di «attacco oscurantista». Si accusa il Vaticano di fomentare «l’odio sociale nei confronti degli omosessuali», e di essere il vero responsabile della crisi della famiglia. È uno scontro destinato a tenere alta la tensione non solo fra queste minoranze dell’Unione e i vescovi italiani, ma fra i partiti del centrosinistra. La Cei ha già fatto sapere di non aver gradito gli accenni di Piero Fassino, segretario dei Ds, ad una modifica della legge sulla fecondazione artificiale, confermata dal referendum del 2005: sembra che i vertici diessini avessero riservatamente dato assicurazioni in questo senso, nei mesi scorsi. La stessa commissione per la bioetica costituita da Romano Prodi, e guidata dall’ex premier Giuliano Amato, è valutata in modo controverso. L’opposizione tende a presentarla come «una torre di Babele». E dubita che l’eterogeneità dell’Unione permetterà di trovare risposte comuni; e a Prodi di mediare posizioni che appaiono a volte agli antipodi.

 

 

 

 A queste incognite va aggiunta la divergenza sull’Iraq fra Ds, Margherita e Rosa nel Pugno da una parte; e Verdi, Rifondazione e Comunisti italiani dall’altra. Dopo il nuovo attentato a Nassiriya, l’Osservatore Romano ha parlato di sangue di chi «è impegnato in una missione di pace»: un omaggio ai militari italiani, che va oltre la condanna vaticana del conflitto iniziato unilateralmente dagli angloamericani nel 2003; e la conferma dei timori che un rientro immediato aggravi la guerra civile irachena. Sono parole che sottolineano il bivio di fronte al quale si trova il governo. La coalizione prodiana è divisa fra l’esigenza di tenere fede agli impegni internazionali; e quella di non scontentare gli alleati della «sinistra antagonista», che invocano il ritiro subito. Quando Prodi assicura al Parlamento che i piani non cambieranno, sembra rivolgersi non tanto a loro, ma a Washington e a Londra.