RADICALI ROMA

Ma da tempo i parlamentari «riconoscono» le loro coppie di fatto

  Un modulo in cui si dichiara di con­vivere «more uxorio» da almeno tre anni, è lo strumento di cui la Ca­mera si è dotata, sedici anni or so­no, per permettere ai conviventi dei parlamentari di poter beneficiare dell’assistenza sanitaria destinata ai propri cari. Il deputato compila il modulo a inizio legislatura, paga mensilmente la quota contributiva doppia (circa 600 euro da allocare nel cosiddetto «Fondo di solidarie­tà»), e, quasi come avviene con la Casagit per i giornalisti, assicura la copertura sanitaria al conviven­te. Il «quasi» è dettato dal regola­mento interno della Camera che nega l’opportunità ai conviventi dello stesso sesso di poter usufruire dell’agevolazione (circostanza che la cassa di assistenza dei giornali­sti, al contrario, permette). Ricorda Titti De Simone, battaglie­ra parlamentare di Rifondazione, che nella scorsa legislatura fu ri­chiesto all’allora Presidente Pierferdinando Casini di allargare le ma­glie del regolamento per dar modo anche ad una coppia omosessuali di poter ottener il beneficio. La pra­tica «fu istruita», ma poi, malau­guratamente, «non portata a termi­ne».

 

 

 

Nel 1990, al tempo della Presiden­za di Nilde lotti, la norma che estendeva l’assistenza sanitaria al convivente (qualcuno lo attribuisce al lavoro di Elena Montecchi, oggi sottosegretario alla Cultura del go­verno Prodi), doveva apparire co­me una sacrosanta battaglia di ci­viltà.

 

 

 

Oggi, il dato è stato espressamente richiesto e ottenuto dalla deputata De Simone, il 25% dei parlamenta­ri e del personale della Camera ne usufruisce. La differenza tra gli elet­ti e gli impiegati di Montecitorio sta nel fatto che per i primi il diritto può estendersi anche oltre il convi­vente (ad esempio ai figli, anche quelli nati «fuori dal matrimo­nio», ma fino al raggiungimento della maggiore età), mente per i se­condi ci si limita al partner. Il 14 dicembre scorso Carlo Trailo dell’associazione Luca Coscioni ha scritto ai presidenti di Camera e Senato domandando come fosse possibile che il legislatore negasse ai cittadini dei diritti che il parlamento si era già dato, e anche da diversi anni. Tra questi diritti, an­notava «l’assistenza medica e la reversibilità della pensione». In ve­rità, mentre sulla prima esiste una norma (uguale anche per ciò che ri­guarda il Senato), sulla seconda la regola non esiste. La reversibilità del vitalizio (trattasi infatti tecni­camente di «vitalizio» e non di «pensione») è infatti concessa solo per il coniuge, i figli, i genitori e i fratelli.

 

 

 

Su queste materie le Camere, come spiega l’onorevole Franco Grillini funzionano in «autoregolamenta­zione». Il regolamento sull’assi­stenza sanitaria ai conviventi «more uxorio» esiste. Di quello sul­la reversibilità del vitalizio (per la medesima categoria di persone) non c’è invece traccia. Un ultimo dubbio permane, però, se si ascoltano le dichiarazioni rila­sciate dal senatore di An Riccardo Pedrizzi nella giornata di martedì. Afferma infatti Pedrizzi: «Se in passato vi è stata qualche estensio­ne ai conviventi dei parlamentari, questa è stata autorizzata diretta­mente dai presidenti delle Came­re». La qua! cosa farebbe supporre l’esistenza di una pratica «eccezio­nale» extra regolamento, avallata dai presidente delle assemblee. La circostanza è sottolineata dallo stesso Carlo Troilo che risponde al senatore aennino: «Prendiamo at­to, dunque, che in questa seconda fattispecie di privilegio (dal latino lex in privos lata) vi è anche la discrezionalità dei Presidenti (vi è, cioè, la negazione di quella che dovrebbe essere la certezza dei diritti, anche di quelli più discutibili)». La battaglia che dentro e fuori dal Parlamento sì sta conducendo per il riconoscimento dei diritti delle coppie di fatto appare deformata dalla polemica sui «piccoli pacs dei parlamentari». Un diritto di cui si chiede l’estensione ad una platea più ampia, appare, visto da fuori, come una «privilegio» che i Parlamentari si sono dati.