RADICALI ROMA

Magi: La parola “nomadi” è servita per giustificare segregazione etnica e business delle opere

Da una definizione sbagliata nascono politiche sbagliate e sperpero di soldi pubblici. Nessuna strategia può risolvere il problema rom se non si parte dall’enorme bluff che ha garantito nella Capitale anni di investimenti milionari per assistere solo 1200 famiglie, è ora di affrontare questo problema come quello abitativo dei baraccati e degli indigenti, al di là della loro etnia

 

Dichiarazione di Riccardo Magi, consigliere comunale Radicale eletto nella Lista civica Marino

Le parole sono importanti, soprattutto se usate in maniera inappropriata. In Italia i cittadini Rom, Sinti e Camminanti rappresentano lo 0,2% della popolazione, cioè circa 170 mila individui (una delle percentuali più basse in Europa). Di questi, solo il 2-3% pratica ancora forme di nomadismo (“Indagine condotta dal Senato della Repubblica); 40 mila vivono in campi, i restanti in abitazioni. Eppure oltre l’80% degli italiani continua a ritenere che Rom e Sinti siano “nomadi”. Per questo l’Osce ha invitato l’Italia a non designare tale minoranza con il termine “nomade”.

Secondo la “Strategia nazionale di inclusione di Rom e Sinti”, documento adottato dal Governo in attuazione delle direttive europee, “è ormai superata la vecchia concezione che associava a tali comunità l’esclusiva connotazione del nomadismo, termine superato sia da un punto di vista linguistico che culturale e che peraltro non fotografa correttamente la situazione attuale”. Lo segnalo a quanti in queste ore in dichiarazioni e sui giornali non colgono la natura simbolica della circolare di Marino rischiando di difendere un sistema decennale che non offre soluzioni. Non è un mero problema terminologico. E’ un errore di conoscenza, che compromette interventi politici concreti. Definire “nomadi” dei cittadini – di cittadinanza per lo più italiana – significa ammettere implicitamente che essi siano per natura inadatti ad abitare come gli altri italiani. E’ proprio su questa definizione che si è basata la politica di segregazione etnica dei “campi nomadi” che, sempre secondo il Senato, “ha alimentato negli anni il disagio abitativo fino a divenire da conseguenza, essa stessa presupposto e causa dell’esclusione sociale”.

A Roma la gestione di poco più di 7 mila persone è stata affrontata come un’emergenza, e per alcuni come un grande affare. Per l’”emergenza nomadi” sono stati spesi negli anni scorsi milioni di euro: una follia costosissima, oltre che illegittima. Strutture come i campi nomadi non sarebbero accettabili per nessun cittadino in condizioni di povertà estrema, ma lo diventano per un rom in quanto “nomade”. Centri come quello di via Visso, per cui l’amministrazione spende milioni di euro l’anno per tenere 300 persone stipate in stanze sovraffollate e senza finestre. E’ ora di affrontare questo problema come si affrontano nelle grandi città i problemi abitativi dei baraccati, degli indigenti, al di là della loro etnia, con soluzioni come l’housing sociale, autocostruzione assistita e la fine della discriminazione nell’accesso anell’accesso alle case popolari per i cittadini italiani di etnia rom che ora vivono nei campi. Il sindaco Marino con quella circolare ha fatto il primo passo verso un cambio di prospettiva assolutamente necessario.