Forse era solo un modo per iniziare la conversazione, o forse era il tentativo di esorcizzare i timori sul futuro, sta di fatto che l’altro ieri Rutelli ha raccontato a Fini di aver rivoluzionato la stanza di palazzo Chigi che per cinque anni era stata del leader di An: «Appena sono entrato ho notato dietro la scrivania un quadro che raffigurava un naufragio. Non ho fatto in tempo a sedermi che sulla parete di fronte mi si è parato un altro dipinto di un altro naufragio. Ma che è sta cosa, ho detto». E via un gesto scaramantico. «Non sono superstizioso – ha sorriso il capo della destra – però anch’io rimasi colpito. Sono soggetti cupi: in uno c’è una nave che affonda in un mare in tempesta, nell’altro l’imbarcazione scompare tra i flutti in una notte buia. Quando lo feci notare, mi venne detto che si trattava di due fiamminghi del Settecento”. Saranno pure due «fiamminghi», però il vicepremier, nonche ministro dei Beni Culturali, non ci ha pensato su: «Ooohh… Io li ho fatti togliere. Preferisco piuttosto le pareti bianche».
La navigazione del governo è iniziata ieri, ma Prodi ha già visto incarnarsi quei fantasmi che l’avevano indotto a confidarsi con i suoi, osservando i capannelli in Transatlantico nei giorni della corsa al Quirinale: «C’è troppa promiscuità tra politici e giornalisti», aveva commentato, evocando ”il modello Westminster”. Temeva infatti quanto poi è accaduto. Pronti e via, e i suoi ministri si sono scatenati: prima un colpo di piccone al Ponte sullo Stretto, poi le dichiarazioni che hanno contribuito a provocare il crollo in Borsa di Alitalia, in mezzo le interviste della Bindi e della Turco. «Non siamo nemmeno entrati a palazzo Chigi — spiega Fabris dell’Udeur — e c’è già chi parla di Pacs e di pillola del giorno dopo». «Ci manca solo dichiarare guerra al Vaticano», sussurra un esponente del governo, secondo il quale Prodi sarebbe «irritato» con le titolari di Sanità e Famiglia.
Il Professore ieri è intervenuto, invitando i ministri al riserbo: «Non possono esprimere opinioni, devono esternare le decisioni». D’Alema ha detto di condividere l’appello, «e tanto sono d’accordo che taccio». Peccato che, nell’intervista all’Unità, il responsabile degli Esteri avesse espresso delle critiche sulla formazione del governo: «Lo avremmo voluto più snello, ma è stato impossibile non tener conto di tutte le ragioni, così come avremmo votuto più donne. E chiaro che non siamo soddisfatti al 100%». Non ha tutti i torti, viste le tensioni che regnano per via degli incarichi non ancora assegnati ai viceministri e ai sottosegretari. Bastava ascoltare le imprecazioni del Guardasigilli Mastella: «Sto a impazzi’ con ‘ste deleghe. Pensavo che avrei avuto quattro sottosegretari, invece sono cinque. E mo’ come faccio?».
Problemi minori rispetto a quelli provocati ieri da Visco. Subito dopo le parole di Prodi, il viceministro ha proposto «nuove tasse sulle successioni e sulle rendite finanziarie» per far fronte ai buchi lasciati da Berlusconi. Non c’era esponente dei Ds e della Margherita che non avesse lo sguardo attonito, «anche perché -come ha rammentato un altro viceministro, il dl D’Antoni – queste cose lui le aveva dette alla vigilia delle Politiche, e non ci avevano portato bene. Era necessario ripeterle alla vigilia delle Amministrative? La verità è che ha voluto esercitare la delega alle Finanze prima di averla avuta, per far capire quale sarà il suo ruolo». Sotto i rami della Quercia, Mussi si nascondeva dietro al sigaro e alle carte ministeriali, sottolineando che «io appartengo alla vecchia scuola», mentre l’economista Rossi si tratteneva a stento: «Per evitare il muro contro muro in Parlamento, prima di proporre qualcosa sarebbe meglio informare l’opposizione». E la maggioranza? «Beh, quello lo davo per scontato…».
Rutelli avrà pur tolto i due «fiamminghi» dalla sua stanza, ma Visco è come se li avesse trasferiti nello studio di Prodi. «D’altronde — annotava l’ulivista La Forgia con una citazione —, i nemici o li uccidi o li accarezzi. Se invece li fai viceministri devi metter nel conto la vendetta». Il governo c’è, ma la squadra ha bisogno di allenarsi, «perché così — teme il radicale Capezzone — andiamo a sbattere alla prima curva». Perciò Prodi ha richiamato tutti alla «serietà», per evitare che si compia la profezia di Berlusconi: «Mi rimpiangeranno». «Non avverrà», chiosava ieri caustico De Mita: «Quei due in fondo sono uguali».