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L'Unità – «Mammamafia», l’affare Ostia Così i clan si spartiscono Roma

Il tasso d’interesse che i Fasciani hanno chiesto ad “Agostino” era così regolato: se il prestito era di 5mila avrebbero dovuto restituirne 7 mila. I Fasciani hanno delle persone presso istituti bancari e società finanziarie di Ostia che gli forniscono i nomi di imprenditori in difficoltà ai quali non sono stati concessi finanziamenti. Questi soggetti in difficoltà vengono avvicinati e gli vengono concessi prestiti con tassi usurari poi, nel momento in cui il prestito non viene onorato, pretendono come pagamento gli immobili che le vittime possiedono».

Sebastiano Cassia è un mafioso siciliano. Che ha deciso di collaborare con la giustizia. È diventato così il grande accusatore dei clan di Ostia. Già, perché sul litorale romano i clan sono ottimi alleati di Cosa nostra. E alcuni di questi diretta espressione delle cosche siciliane. Ecco perché Cassia sa molte cose dei Fasciani, dei Triassi, degli Spada. Sa molte cose perché li ha frequentati dagli Anni 80 al 2012.

Grazie alle dichiarazioni del pentito, il primo nella Roma criminale 2.0, i pm della procura antimafia della Capitale hanno eseguito nell’ultimo anno due grandi operazioni e sequestri patrimoniali. Cassia descrive il metodo con cui i clan prestano denaro. «Qualcuno che lavora dentro una banca che ti dice… è venuto per un prestito, si viene a sapere perché? Perché bene o male o c’hai qualcuno che c’ha una finanziaria o qualcuno… cioè se viene a sapere, in poche parole, in giro… Ostia non è una grande città, a Ostia si viene a sapere se uno sta in difficoltà».

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Così i clan si spartiscono Roma 7 luglio 2014 listen this page A – A

È il primo anello della catena economica delle mafie. I gruppi criminali assistono, a modo loro, gli imprenditori in difficoltà. Fanno da bancomat per aziende che trovano le porte degli istituti bancari sbarrate e non riescono ad accedere al credito. E con la crisi e la recessione sempre più ditte si sono indebitate con gli usurai delle cosche. Molti non riescono a pagare il debito. A questo punto il clan prende provvedimenti. Prima la vittima viene intimidita. «Poi siccome quelli non ci arrivano perché te ! me… un tasso di interesse elevatissimo, passi alla violenza fisica… l’aggressione a lui, direttamente, il danneggiamento è inutile… tanto la macchina non è che te può fare qualcosa se invece il dolore diventa fisico è diverso…», è il metodo mafioso illustrato da Cassia.

E poi c’è il passaggio successivo: «Dall’iniziale prestito, si arrivava, nella maggior parte dei casi, ad interessi di tipo usurario che terminano con l’apprensione dell’intero immobile o attività commerciale per la quale si era chiesto il prestito iniziale», scrivono i pm nella richiesta di misura cautelare contro la mafia di Ostia. Una volta acquisita l’attività può iniziare la fase del riciclaggio.

I Fasciani, come emerge dalle indagini, avevano costruito un piccolo impero grazie all’usura e al traffico di droga. Locali, ristoranti, aziende e società finanziarie. Anche i lidi estivi erano cosa loro. E una friggitoria in pieno centro storico a Roma. I clan di Ostia si spartiscono la piazza economica e finanziaria della Capitale con la camorra e la ‘ndrangheta. Entrambe specializzate nella ristorazione di alto livello. Aprono locali chic dall’arredamento ricercato e minimale, ristoranti di lusso o popolari, pizzerie in franchising, catene della ristorazione made in Sud, hotel economici o extralusso.

RISTOMAFIA SPA
La mafia è servita nella romantica cornice della capitale. Offre piatti gustosi, servizi eccellenti, e suite per weekend indimenticabili. La «Ristomafia Spa» soddisfa tutti i palati, accoglie turisti e residenti, è adatta a ogni portafoglio. Un recente sequestro, da 150 milioni di euro, della Direzione investigativa antimafia è quello del Grand hotel e ristorante il Gianicolo. Proprietari erano due imprenditori della cosca Gallico di Palmi, che a Roma ha avviato un’enorme campagna acquisti nel settore alberghiero e della ristorazione. Le organizzazioni mafiose hanno conquistato una grossa fetta di questo mercato nel periodo più nero per l’economia nazionale. Sfruttando le difficoltà economiche degli imprenditori.

«È di 2.583 il calo dei ristoranti in Italia», denuncia Confesercenti, «e Roma è capitale anche delle chiusure: 417 bar e ristoranti spariti da gennaio 2013». I clan entrano in punta di piedi, promettono di rilevare ogni debito e infine acquisiscono il marchio, lasciando il vecchio gestore o inserendo un familiare fidato per schermare la proprietà. ‘Ndrangheta e Camorra la fanno da padrone. Ma ci sono anche locali gestiti da reduci della banda della Magliana e da imprenditori chiacchierati o indagati in storie di mafia. Tra le 160 aziende confiscate in tutta la regione Lazio, circa la metà sono ristoranti, alberghi e bar. Poi ci sono quelle sospettate su cui gli investigatori hanno puntato i riflettori: almeno una trentina. Non c’è zona immune: dal cuore della dolce vita alla prima periferia romana passando per le vie che costeggiano le mura vaticane.

L’Agenzia per i beni sequestrati e confiscati indica il settore della ristorazione e alberghiero come il terzo campo di attrazione dei denari sporchi dei clan: l’11 per cento degli investimenti totali fatti dai boss si trasformano in ristoranti, trattorie, osterie, hotel, catene di ristorazione e di beverage.

«Il 70 per cento dei locali del centro storico è in mano ai clan», è la denuncia che la presidente del primo municipio Sabrina Alfonsi ha lanciato in occasione della firma del protocollo Municipi senza mafie con l’Associazione daSud. I rapporti dell’anno scorso di guardia di Finanza e Dia indicano il Lazio come la terza regione per operazioni sospette investigate. Prima della Calabria, subito dopo Lombardia e Campania. E nel 2011 le Fiamme Gialle di Roma hanno sottratto beni ai mafiosi per oltre 1 miliardo di euro. Quasi raddoppiata dopo due anni.

Nell’economia romana si muovono impresari come Pasquale Capano. Legato ai clan cosentini e alla malavita romana (Casamonica e banda della Magliana), in vent’anni ha avviato decine di società. Aziende agricole e commerciali. Per lui il codice d’onore ‘ndranghetista «è una scelta di vita, e non una mera opportunità affaristica». È lui stesso ad ammetterlo in una missiva inviata a un suo complice. «Il sottoscritto non solo ha la dignità per considerare se stesso, ma 50 anni vissuti sempre nel rispetto delle regole della vita, che sono diverse dalle leggi dell’uomo…la prima cosa che mi è stata spiegata nelle prime frequentazioni di alcuni ambienti è stata la differenza tra amicizia e fratellanza… l’amicizia è un’espressione abituale, la fratellanza rappresenta il legame… su questo principio è stato concepito il rituale iniziatico, di accettazione e ingresso nella sacra famiglia e onorata società, radicato nella storia antica della nostra terra di origine». Una lunga lettera scritta da Capano. Che per i romani non è altro che un imprenditore con tanti soldi. Per lui le porte dei salotti buoni della città sono state aperte per molto tempo.

Non ci sono santini della ‘ndrangheta in bella vista, né insegne con nomi che richiamano all’onorata società, o codici di comportamento e stampe de Il padrino appesi ai muri. E non troverete neppure menù fantasiosi, come in alcuni locali sparsi per il mondo, con piatti che portano il nome dei capi storici della mafia. Quelli gestiti per conto delle cosche calabresi a Roma sono locali alla moda. Frequentati da giovani dei quartieri ricchi, professionisti, modelle, attrici, attori, politici e imprenditori. «Non si tratta solo di appalti, le ‘ndrine calabresi hanno acquistato vere e proprie catene di negozi», osservò Pignatone in una delle sue prime uscite pubbliche da capo della procura capitolina.

Tra i protagonisti dello shopping c’è il clan Mancuso di Vibo Valentia: attraverso una fitta rete di prestanome hanno aperto e acquistato più di una dozzina di locali. Molti di questi farebbero capo a Giuseppe Mancuso, detto ‘Mbrogghia”(l’imbroglione). Lui è il cugino del capo storico Pantaleone Mancuso, U scarpuni, in passato considerato lo scissionista della grande famiglia cresciuta a suon di pallottole e tonnellate di coca vendute nelle piazze del nord Italia. I trafficanti al servizio dei Mancuso sono in grado di contrattare alla pari con i narcos colombiani. Il mercato, la domanda che fagocita l’offerta, fa il resto. I profitti reinvestiti sono enormi. E drogano con dosi pesanti anche l’economia romana. I Mancuso gestirebbero almeno due catene di ristorazione. Una fatta di locali alla moda, dove si beve fino a tarda notte, e l’altra di pizzerie. La ‘ndrina di Vibo a Roma ha rapporti stretti con i salotti buoni, con politica e massoneria. Le ultime inchieste della Procura antimafia di Catanzaro hanno ! svelato l’enorme patrimonio romano dei Mancuso. Ma è solo una parte, sospettano gli investigatori. C’è ancora molto da scoprire.

Il gemellaggio criminale tra le ‘ndrine Gallico e Alvaro ha radici lontane. «Chi ha impresso le direttive generali sugli spostamenti di uomini e capitali dei Gallico è il clan Alvaro», si legge nei rapporti investigativi della Dia che hanno portato al sequestro di alcune società che gestivano locali alla moda a Roma. Il traghettatore degli interessi del clan di Palmi verso Roma ha un nome: Vincenzo Adami, cugino del boss Vincenzo Alvaro di Cosoleto, minuscolo paese del Reggino. Entrambi indagati nella nota vicenda Cafè de Paris. Sono gli «apripista per gli investimenti di tutti gli affiliati dei Gallico che intendono concludere affari nel settore della ristorazione, il più affetto da infiltrazioni ‘ndranghetiste», scrivono gli investigatori. Dopo la confisca del “Cafè de Paris”, lo storico locale della dolce vita dove si incontravano mostri sacri del cinema a sorseggiare cocktail tricolore, è arrivata quella del Caffè Chigi, oggi chiuso ma per decenni rifugio all’ora di pranzo di professionisti e deputati. Primi assaggi, i più amari, di una marcia su Roma che vede la ‘ndrangheta calabrese giocare un ruolo di primo piano nella conquista di un pezzo di economia romana. E mentre l’attenzione era rivolta a quelle vecchie storie, un altro scossone è arrivato da altre indagini, altri sequestri e nuove confische. Centinaia di milioni di euro provenienti da estorsioni, usura e traffico di cocaina, riversati nel polmone commerciale della città. La movida targata ‘ndrina scalda le notti dell’inverno della città e imbianca di cocaina le sue estati.