RADICALI ROMA

Marco, un rito in scena da 30 anni

  RICCIONE – «Mar-co! Mar-co!» rimbomba la buia sala del Palaterme, «Mar-co! Mar-co!»: e ancora una volta si rinnova il rito antico della Pannellolatria. Saranno trent´anni, ormai, e nessun leader politico, in Italia, né mago, sacerdote o profeta può vantare una così longeva devozione. «Per carisma – scrive Max Weber – si deve intendere una qualità considerata straordinaria». Il pensatore tedesco sarebbe l´ospite ideale tra i vialetti e le fontanelle che ingraziosiscono il congresso radicale. Il carisma, sostiene in uno dei suoi ultimi scritti, «Wirtschaft und Gesellschaft», è un concetto che dall´esterno non vale nemmeno troppo la pena di discutere: «Ciò che importa è soltanto come esso viene effettivamente valutato da coloro che sono dominati carismaticamente, dai “seguaci”».
«Mar-co! Mar-co!». Mentre Pannella scende dal palco, con una rosa rossa in mano, per giunta, vale la pena di osservare chi si scatena di più nell´entusiasmo. L´insospettabile con la giacca di velluto, l´anziano non vedente, la signora vistosa e forse rifatta, il liberista ossessivo in doppiopetto, il giovane gay che ai tempi del divorzio non era neppure nato, la ragazza che vende le pubblicazioni anticlericali. Colpiscono gli occhi, per un attimo quasi sbarrati, e l´agitarsi delle mani. C´è pure un distinto signore che improvvisa una specie di balletto. Nel frattempo Pannella è stato risucchiato in un grumo di fotografi.
Enorme, alza la testa, chiude gli occhi, aspira la sigaretta, si capisce che quel rumore e quel contatto di folla lo energizzano.
Perché il carisma non è mai a senso unico, e quando la politica scende nel profondo s´incontra tutto un mondo misterioso. Anche Pannella quindi trae forza dal suo popolo. Pare a volte di cogliere addirittura un che di vampiresco, nei suoi contatti con i giovani; una sorta di tributo che essi pagano per frequentare la più completa scuola di formazione della politica italiana; l´ultima rimasta.
«Eh, Marco è forte!»: così attacca dal palco Daniele Capezzone che ha l´impossibile compito di parlare dopo il leader. Nella sua relazione ha detto che «Marco ci fa dannare tutti, prima o poi, e vale per lui quel che è stato detto della provvidenza: magari affligge, ma non abbandona». E´ questo l´incubo: l´abbandono.
Sempre dal palco l´anziano militante Giorgio Inzani, che è anche un medico, ha affrontato la questione della salute di Pannella: «Vi siete resi conto che non sta bene? O si fa tappare quest´aneurisma cronico, o rischia di schiattare in diretta a Radio radicale». Al che ha chiesto anche un applauso propiziatorio per invitare Pannella a curarsi. «Il partito e la militanza radicale – ha spiegato – hanno bisogno dei suoi calci in culo».
E allora: che cosa è questo legame? Sembrerebbe un fluido, in realtà, un flusso, una corrente, ma anche un demone, una malia.
Non appare come un potere, quello di Pannella sul partito, ma un dominio: e a renderlo tale, a sfiorare la potenza magnetica, o la risorsa ipnotica, è proprio l´accettazione, se non la sottomissione da parte dei radicali. Forse non se ne accorgono, ma ci sono dirigenti di belle speranze che al cospetto di Pannella s´irrigidiscono, mettendosi addirittura sull´attenti. E forse nemmeno lui se ne accorge, ma almeno ieri c´erano qui a Riccione dei militanti che prima e dopo il discorso lo toccavano con lo stesso estatico rapimento con cui si tocca qualcosa di sacro.
Certo molto conta anche la parola, o meglio: l´arte antichissima della retorica che si nutre di chiarezza e nascondimenti, di nettezze e di sfumature, di accenni e di pedanterie. Il discorso di Pannella sarà durato un paio d´ore, e solo pochissimi congressisti saranno stati in grado di seguirlo, con cognizione di causa, in tutti i suoi passaggi, spesso criptici. Ma quanto agli effetti, e ai processi di immedesimazione che di sicuro ha innescato, questo appare del tutto irrilevante.
O almeno. A voler destrutturare il suo discorso, il leader carismatico ha sommerso la platea di immagini fantastiche, ad alto contenuto emotivo: il patriarca buddista imprigionato, Tommaso Campanella a 35 metri sotto terra che prega per i suoi carcerieri, i boat people, i gommoni, le biblioteche on line, la Sicilia deturpata dall´abusivismo, le lotte plebee dei difensori comunisti degli abusivi, le forze oligopolistiche cinesi, i lupi, la Peste di Camus, i suicidi dei seminaristi, gli assassini, gli annegati, i pirati, la brace, la cenere, il guano, i 25 mila parroci costretti a fare i kapò. E intanto la voce gli si faceva rauca, e Pannella tossiva, strizzava gli occhi, richiamava, anche in vita, «Ignazio» (Silone) e «Vasco» (Rossi), storpiava il nome del conduttore di Ballarò Giovanni «Flores», e intanto faceva vibrare simboli e archetipi.
Lentamente ha preso corpo l´apocalisse radicale: il Vesuvio, New Orleans, l´innalzamento degli oceani, le coste sommerse, il prosciugamento dei più grandi fiumi del mondo. La «contemplazione del macello» ha portato i congressisti in uno stato di sbigottita pausa. E qui Pannella, piano piano, con garbo, ha offerto se stesso e il suo progetto per sciogliere la paura. Come una speranza semplice e possibile; come una salvezza; come se tutto questo dipendesse dall´assalto al cielo, o da una telefonata di prima mattina con l´onorevole Zavettieri.