RADICALI ROMA

Mi spiace, compagno Fassino, ma sulla rivoluzione del 1956 non funziona il “tutti colpevoli nessun colpevole”!

In questi giorni è un fiorire di testimonianze, di articoli sul ’56, di contributi sulla rivoluzione ungherese e sulla crisi del comunismo, sull’incapacità dell’Unione sovietica di mantenere il blocco monolitico (come tutti lo conoscevano) dopo il XX congresso del Pcus e l’inizio della destalinizzazione ad opera di Chruscev. Particolarmente educativo, però, ne “L’Unità” del 23 ottobre, affianco al foglio inserto dedicato al “1956. Rivoluzione e restaurazione”, si trova uno stralcio del libro di Piero Fassino “Per passione”.

Nella parte dedicata ai fatti d’Ungheria, il compagno Fassino racconta di come nel 1988 era stato il primo esponente del Pci a parlare alla celebrazione della morte di Imre Nagy al cimitero parigino di Père Lachaise. La presenza di un comunista italiano era già un atto molto forte, che prende anche la parola: “Non può accadere che parli Martelli e non tu”, è la frase detta da Achille Occhetto. E l’anno seguente, quando viene invitato Occhetto a Budapest, a Botteghe oscure si vuole rispondere subito di sì “perché Petruccioli viene a sapere, da un’indiscrezione, che Craxi intende ufficialmente assistere alla cerimonia”. L’episodio più interessante, però, è relativo all’incontro preliminare che il segretario del partito ungherese Károly Grosz, un kadariano di ferro, richiede ai comunisti italiani prima della cerimonia. E qui viene fuori la vexata quaestio: il leader ungherese dichiara ai compagni italiani che “se si vuole riscrivere la storia… bisognerebbe allora riabilitare anche quelli che prima del ’56 morirono a causa di Nagy”, “almeno mezzo milione”. E qui Fassino ci spiega che “Imre Nagy, infatti, è stato uno dei principali dirigenti del partito dal ’52 al ’56 in epoca staliniana” (sic!), e che mezzo milione di vittime processate ingiustamente, più mezzo milione di accusatori, più mezzo milione di parenti degli accusatori significherebbe riaprire troppi fascicoli in un paese di dieci milioni: “significherebbe aprire una voragine”. E allora ecco la soluzione dei comunisti italiani, “un atto unico di riabilitazione, generale e per tutti”: la soluzione poi di fatto scelta da Budapest, quasi a raccogliere il suggerimento dell’esponente italiano…

Leggendo queste righe, però, emergono alcune elementari considerazioni: la prima, più evidente, è che la competition a sinistra è servita a far uscire il Pci dall’angolo in cui si era cacciato 50 anni fa. Quindi un ringraziamento ai socialisti di Nenni che a Budapest si schierarono dalla parte giusta: e quindi a Martelli, per l’annunciato intervento alla celebrazione parigina nell’88, e a Craxi, ufficialmente presente a Budapest nell’89.

E poi un’eccezione storica e una di merito. Per l’eccezione storica, di “periodizzazione” storica, si deve ricordare che definire “epoca staliniana” gli anni dal ’52 al ’56 significa ignorare che la morte di Stalin (marzo ’53) abbia avviato un nuovo periodo nel blocco socialista e nel contesto delle relazioni internazionali, reso poi ufficiale dal XX congresso del Pcus (febbraio ’56) e dalla “destalinizzazione”.

Quindi, nel merito, che è quantomeno non riduttivo definire Nagy “uno dei principali dirigenti dal ’52…” Solo in seguito alla morte di Stalin, Nagy il 4 luglio 1953 diventa Presidente del consiglio dei ministri della Repubblica popolare ungherese: lui, “eretico” buchariniano fino agli anni ’30, in esilio sovietico, rientrato in Ungheria con l’Armata rossa, unico nel Politburo a non votare per la condanna di László Rajk, emarginato nel 1949 per la dichiarata critica alla collettivizzazione forzata. Nell’introduzione di Francois Fejto agli “Scritti politici di Imre Nagy”, pubblicato da Feltrinelli nel 1958, viene spiegato: “Di fatto si ebbe in Ungheria, dal luglio 1953 al marzo 1955, data della caduta di Nagy, un dualismo di poteri: il segretario del partito, in pratica, agiva per neutralizzare tutte le iniziative del Presidente del Consiglio” (p. 27). Nagy diede il diritto ad uscire dalle fattorie collettive ai contadini, decise la conversione di parte dell’industria pesante in industria di produzione di beni di consumo e – dulcis in fundo – dispose la revisione dei processi. Tutte decisioni boicottate dagli apparati del partito e dal gruppo di Rakosi. Che lo estromise nel ’55 e lo espulse dal partito: Nagy sarebbe tornato alla guida del governo con i drammatici giorni della rivolta.

Concludendo: se non è vero che “Nagy è stato uno dei principali dirigenti del partito” sic et simpliciter e non è “epoca staliniana” quella che va “dal ’52 al ’56”, allora la domanda per il compagno Fassino sorge spontanea… Quell’“atto unico di riabilitazione generale”, che tanto assomiglia al celeberrimo “tutti colpevoli nessun colpevole”, ha ancora ragion di essere? E infine: cari compagni dell’ex Pci del 2006, che lato delle barricate di Budapest scegliete